Carissimo direttore,

ho la netta convinzione e impressione che, ogni anno che passa, il Natale sia sempre più triste e più vuoto. Hai voglia di farci gli auguri per un Natale migliore! È solo, ahimè, un’utopia.

Quest’anno, in modo particolare, ho avvertito un senso di tristezza e rabbia a causa del conflitto russo-ucraino e della guerra in Medio Oriente. Corrado Alvaro diceva:

«Natale è la festa più bella di tutte perché con la nascita del Signore l’innocenza torna sul mondo».

Ma questo magico messaggio d’amore non è per niente ascoltato da chi vuole la discordia, lo spargimento di sangue e il disordine mondiale.

Stiamo vivendo dei momenti di grande terrore, angoscia e disperazione, a causa delle minacce di Putin di fare uso dell’atomica e dell’escalation tra Israele e Hamas.

Ricordo vividamente che nell’aria natalizia degli anni ’50 e ’60 c’era entusiasmo e una viva partecipazione a un evento che ti prendeva l’anima e il cuore.
Eravamo felici per un nonnulla, nonostante gli stenti e la povertà che regnava un po’ ovunque.

Il progresso tecnologico, commerciale ed economico ha frantumato il senso di gioia, amore e poesia della nascita del Signore Gesù.
Insomma, con tutto il benessere e i comfort che il mondo moderno ci offre, non riusciamo a trovare una serenità e un godimento spirituale vero e duraturo.

Abbiamo dimenticato che il Natale è la nascita di Gesù, il Figlio di Dio, che si incarna per portare salvezza, pace e gioia a tutti.

Per celebrare degnamente questo evento straordinario, è necessario nei nostri cuori più spiritualità e sentimenti di amore per il prossimo.

Per uscire da questo tunnel tenebroso e spaventoso, c’è urgente bisogno che Gesù, immenso dono del Padre dell’umanità, illumini le nostre vite.

Felice Anno Nuovo a tutti!
FRANCO PETRAGLIA – CERVINARA (AVELLINO)


Caro Franco,

Natale ormai è passato ma è giusto fare qualche riflessione.

Innanzitutto dobbiamo stare attenti a non esaltare e idealizzare troppo il passato, perché spesso la memoria umana tende a trattenere solo le cose positive e a rimuovere quelle negative.

Gli anni ’50 e ’60 non sono stati anni di pace, tutt’altro: la Guerra fredda, la guerra di Corea, il Vietnam, l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Urss, la costruzione del Muro di Berlino, la crisi di Cuba che ha portato l’umanità a sfiorare il cataclisma nucleare, il Vajont, l’uccisione di Kennedy e di Martin Luther King, la Primavera di Praga fermata nel sangue. E si potrebbe continuare.

Nel 1969, poi, con l’attentato di piazza Fontana a Milano, inizia la lunga stagione del terrorismo, delle stragi nere e rosse, dei tentativi di destabilizzare lo Stato e bloccare il processo democratico e il compimento degli orizzonti di uguaglianza sociale e solidarietà posti dalla Costituzione del 1948 attraverso l’azione occulta della massoneria e di alcune istituzioni deviate dello Stato, e poi dell’emergere del potere oscuro della mafia.

È vero, però, che le guerre di oggi hanno qualcosa di diverso rispetto al passato: non hanno fine perché non hanno fini, per quanto perversi possano essere se perseguiti con le armi e l’odio, e l’unico obiettivo che si pongono i belligeranti e i loro crudeli capi è ormai solo, da quanto constatiamo quotidianamente dalle notizie che ci arrivano, l’annientamento finale e definitivo del nemico.

Un triste segno dei tempi, che fa da eco a un generale raffreddamento dei rapporti umani nelle nostre opulente società, a partire da quelli più intimi del nucleo familiare, che non rappresenta più per tutti un rifugio in cui trovare pace.

Constatiamo – senza cedere comunque a facili idealismi: la famiglia è sempre stata spesso anche luogo di violenza e sopraffazione – lo sfaldarsi dei legami nelle famiglie per la grande volatilità delle relazioni affettive, favorita dall’accelerazione dei ritmi di vita, dall’incapacità di comprendere la logica del dono, dalla grande mobilità permessa dallo sviluppo dei mezzi di trasporto e dall’organizzazione del turismo di massa, dal consumismo, dal mettere le esigenze dell’individuo al primo posto, da una distrazione di massa iniziata con i vecchi media (in primis la televisione, processo culturale avviato proprio negli anni ’60 ed esploso negli anni ’80 con le tv commerciali) e poi evoluta al quadrato con i new media (Internet e successivamente i social), che ci hanno sottratto tempo ed energie per le relazioni umane e, quindi, la stessa anima.

Tutte queste “cose” hanno occupato piano piano, senza quasi che ce ne accorgessimo, lo spazio nel nostro cuore, fino ad espellere il suo naturale ospite, Gesù.

È Lui, oggi, il grande Sconosciuto, che, nato nel più grande anonimato in una grotta di Betlemme, è diventato famoso non per i suoi miracoli, ma per la fedeltà alla parola che aveva dato ai suoi discepoli: che sarebbe risorto il terzo giorno per stare con noi, per sempre.

Ma Lui lo fa con discrezione, chiedendo permesso, attendendo che si liberi qualche spazio nel nostro armadio interiore pieno di fretta, pensieri e cose.

Chiediamo al Signore, all’inizio di questo 2025, di aprire il cuore e la mente alla speranza, che è il grande messaggio del Giubileo appena iniziato.
Chiediamo a Lui di aiutarci a riscoprire la nostra umanità, liberandoci del peso del tanto superfluo di cui ci siamo riempiti.

Buon anno, care amiche e cari amici.