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In un mondo in cui l’Intelligenza artificiale (IA) risponde in pochi secondi a qualsiasi domanda, che senso ha ancora insegnare?
Serve ormai una didattica che aiuti gli studenti a comprendere i problemi da cui nasce il sapere. La conoscenza non è più un fine, ma uno strumento per pensare, agire, scegliere.
Serve una scuola che non trasmetta solo nozioni, ma valorizzi la complessità del sapere e coltivi lo spirito della ricerca.
Solo così prepareremo i giovani al futuro. Un futuro che non ha bisogno di risposte facili, ma di menti che sappiano fare domande.
ENRICO FORTUNATO
Un bagaglio di conoscenze occorre sempre. Il pensiero critico si costruisce su una base culturale solida, sennò resta sterile esercizio di retorica. Certo, la questione dell’IA a scuola non è di poco conto.
Mi sembra, però, che questo barcamenarsi tra gli scogli di Scilla (competenze) e Cariddi (conoscenze) non sia semplice da risolvere, visto anche i continui dibattiti sul valore delle prove Invalsi. Comunque per gli obiettivi da raggiungere si devono sempre costruire adeguate prove di verifica.
Ha ancora senso oggi, allora, dare a casa compiti che si possono fare agevolmente con l’IA? Meglio sarebbe forse usare la c.d. “classe capovolta” (flipped classroom), con lezioni a casa (con video) e facendo poi le verifiche a scuola per controllare che non si copi. Fa molto pensare, infine, riguardo al futuro ruolo della scuola, un dato statistico rispetto all’IA: ben il 75% dei ragazzi è autodidatta, e solo l’11% ha ricevuto una formazione scolastica o universitaria.



