Caro don Stefano, non conosco direttamente la guerra, ma solo attraverso i racconti di mia nonna materna rimasta orfana di padre all’età di cinque anni.

Quel padre, di cui lei ricordava l’alta figura e i magnetici occhi azzurri, era stato sradicato dalla propria famiglia e dal proprio lavoro per entrare nella spirale di violenze, atrocità e distruzione della Prima guerra mondiale, in cui aveva perso la vita a soli 36 anni.

La scritta “disperso sul fronte”, che all’inizio aveva lasciato flebili speranze, si era trasformata nel tempo in una tragedia per la loro famiglia di cinque persone.

Nessuno aveva più saputo niente di lui; solo recentemente, dopo varie ricerche, si è scoperto che era stato colpito dallo scoppio di una granata e aveva perso entrambe le gambe, sopravvivendo per alcuni giorni in un ospedale da campo.

Un’orrenda fine che lui, da persona pacifica e altruista che era, non meritava affatto.

In questi ultimi anni, quando alla Tv vedo l’odioso inferno della guerra con interi paesi rasi al suolo, morti e feriti ovunque tra adulti e bambini, la storia del bisnonno Giuseppe mi ritorna alla mente.

Perché l’uomo non impara dagli sbagli commessi e continua a ripetere gli stessi errori?

FLORIANA COPELLI

Cara Floriana, la tragica vicenda del tuo bisnonno, purtroppo, si ripete sui mille campi di battaglia di oggi.

Mi sconvolge questa voglia matta di guerra che emerge dai governanti di oggi, anche di quelli della nostra Europa che, invece di cercare soluzioni negoziali alle dispute tra nazioni, pensano ad armarsi. E ad affossare le organizzazioni internazionali sorte dopo la Seconda guerra mondiale per consentire proprio di gestire le conflittualità intorno a un tavolo piuttosto che con la guerra.

Fare la guerra per conquistare o per vendicare torti, facendosi un baffo delle regole del diritto internazionale, alimenta un ciclo di odio e violenza senza fine.

La guerra non dà mai una soluzione duratura, ma è una tragedia che aggiunge dolore e distruzione a problemi già complessi. La guerra ha costi umani e morali altissimi, e mai risolve le radici profonde dei conflitti, destinati a ripresentarsi nelle generazioni successive.

Cosa fare come cristiani? Guardare a Cristo, Principe della pace, che non rispose con la violenza alla violenza.

Chiedergli la grazia di avere la forza di promuovere la pace come tra i governanti così nei nostri microcosmi; di lavorare per la giustizia; di non cedere alla tentazione di rispondere alla violenza con altra violenza.

Dobbiamo coltivare la speranza di un mondo in cui la diplomazia e il rispetto reciproco prevalgano sull’odio e la vendetta.

Solo così possiamo sperare di intravvedere la fine delle sofferenze che i conflitti portano sempre con sé.