Caro don Stefano,

Sono sempre più diffuse le lamentele e le aggressioni verso i sanitari. Siamo sicuri che gli operatori non abbiano alcuna responsabilità? Sono sicure la professionalità, la dedizione, la disponibilità, l’ascolto, l’accoglienza, la comunicazione, la partecipazione dei familiari, ecc.?

Ho documentata pluriennale esperienza sull’esasperazione di persone tenute fuori dai Pronto Soccorso, di reparti che sequestrano i loro cari e li tengono come segregati, incrementando ansie e gravi malesseri. Ci si può fidare completamente degli operatori? Meritano fiducia incondizionata? Le cause sono soltanto leggi inadeguate, salari insufficienti, facilità all’intolleranza?

Provate a leggere le lettere di encomio che talvolta si vedono scritte nei giornali in cui si ringraziano i sanitari per la professionalità e l’umanità. È proprio l’umanità che manca, e se non ce l’hai, non sei idoneo a operare nella sanità. Tutto il resto (leggi, politiche, stipendi aumentati, organizzazione del lavoro, ecc.) viene dopo.

LETTERA FIRMATA


Una delle tante spie del malessere sociale che denuncia gli spazi di disumanizzazione nella nostra attuale società sono proprio gli attacchi contro i sanitari, di cui le cronache ci danno conto. Il nostro lettore la ascrive anche alla loro mancanza di umanità. Certamente la dimensione di fiducia è un fattore fondamentale nell’incontro tra la persona sofferente e chi deve curare e gestire quel disagio.

In un tempo in cui, grazie a Dio, il paternalismo di un tempo ha lasciato il posto alla competenza e alla responsabilità, c’è ormai alla base della prestazione medica un patto implicito tra medico e paziente fondato su educazione e rispetto reciproco. Non c’è più il medico che decide con la forza della sua autorità. C’è quello che, con la sua autorevolezza riconosciuta e riconoscibile in base alle sue capacità, propone piste di cura, spiegandole al paziente in un percorso di alleanza terapeutica.

Questo implica un carico di lavoro e di gestione del consenso informato molto aumentato per il sanitario, a volte compensato, ma solo entro certi limiti, dal rapporto umano che si può creare. Laddove, però, il personale è carente, come nei Pronto soccorso delle grandi città, le dinamiche possono assumere traiettorie disumanizzanti, che possono terminare con episodi di grave violenza. Se mancano medici e infermieri, questo comporta turni e ritmi di lavoro stressanti, senza la compensazione di un riposo adeguato.

Se lo Stato deve intervenire con politiche adeguate, resta vero che è l’umano che deve riemergere, tornando a mettere al centro il rapporto di alleanza in un comune esercizio di accoglienza. Grazie a Dio ci sono anche associazioni, come l’Amci (Associazione medici cattolici italiani), che creano reti tra medici per favorire un’“educazione del cuore” che umanizzi sempre più il rapporto tra medico e paziente.