Caro Don Stefano, si parla spesso del fatto che non sempre la Chiesa riesce a rispondere ai bisogni delle persone, creando a volte distanze insuperabili. Penso, in particolare ora che l’emergenza pandemica è terminata, al periodo del lockdown, in cui, superata la situazione iniziale di disorientamento e precauzionale chiusura, si sarebbe potuto riaprirsi un po’ di più, mostrando una maggiore vicinanza in un periodo molto complesso.

Cara Piera, il periodo del Covid è stato molto duro e ha lasciato in tutti noi strascichi pesanti. Le chiese non sono mai state chiuse: chi voleva poteva recarvisi per pregare, seppu - re con l’autocertificazione. Anche le Messe sono state sempre celebrate, si è però evitato di farle in presenza per evitare contagi e proteggere così le persone. Quello che, forse, è mancato è stata la possibilità di ricevere la Comunione e di celebrare i funerali. Col senno del poi ci vengono tanti dubbi. Credo, però, che le scelte di fronte a quel terribile nemico invisibile siano state di grande responsabilità. Papa Francesco, che celebrava in diretta dalla cappella di Santa Marta, e i tanti sacerdoti che hanno improvvisato dirette sui vari social hanno espresso in questo modo il loro amore per il popolo di Dio. La tua lettera mi dà anche l’opportunità di ringraziare quei confratelli che non hanno esitato, in piena emergenza, ad assistere i malati e i contagiati e a essere per loro, a volte, l’ultimo conforto terreno. Perdendo, a volte, essi stessi la vita.