Gv 8,12-20 - Lunedì della V settimana di Quaresima (18 marzo 2024)

La scena raccontata dal Vangelo di Giovanni fotografa una condizione molto frequente nella nostra vita: sbagliare e sapere di sbagliare. L’adultera presa in flagranza di reato e condotta da Gesù, rappresenta la fine di ogni forma di ipocrisia dietro la quale molto spesso ci nascondiamo. La prima grazia che riceve questa donna è quella di non poter più nascondersi e di dover ammettere la verità delle sue scelte. Il problema però è rappresentato da chi la sta aiutando a fare verità, infatti la gente che ha intorno ha uno scopo ben preciso, quello di applicare la legge e ucciderla.

A peggiorare la situazione c’è poi anche la geniale idea di approfittare dell’esecuzione di questa donna per mettere alla prova Gesù. È qui che emerge tutta la diversità di Gesù. Infatti egli non scusa questa donna negando ciò che ha fatto ma disarma le mani di chi vuole colpirla invitandoli a guardarsi tutti allo specchio:  “«Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi”. Serve a poco fare verità sulla propria vita se poi quella stessa verità la usiamo per condannare. Gesù fa verità perché vuole salvare. È un po’ come andare da un medico e manifestare la propria malattia: perché lo facciamo? Per sentirci dire che meritiamo di essere malati o per essere curati? Davanti alla misericordia di Dio si sta come un malato e non come un imputato. «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».

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