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Ci siamo ormai abituati a giudicare progressi o peggioramenti in Medio Oriente solo dagli insuccessi (più frequenti) o dai successi (più rari) militari contro l'Isis. Ma sul terreno della Siria e dell'Iraq si combatte anche un'altra battagli, non meno cruenta e non meno importante per la strategia generale: quella dei profughi.
In Siria, l'Isis (soprattutto), Al Nusra e le altre formazioni armate che combattono il regime di Assad e sono più o meno legate all'estremismo islamico hanno ormai conquistato tutta la regione del Nord che confina con la Turchia. Questo significa che i profughi interni non hanno più speranza di poter fuggire in Turchia, e molte meno possibilità di prima di ricevere aiuti attraverso il confine turco, visto che il regime di Erdogan parteggia apertamente per Isis e compagni.
Questa situazione ha, ovviamente, un costo umano (le sofferenze dei profughi) ma anche un significato strategico. E' inevitabile che i siriani profughi si riversino, a questo punto, verso Sud, cioè verso il Libano, mettendo a rischio la stabilità di questo Paese. In Libano si è già vicini al tracollo, con un milione di profughi su quattro milioni di abitanti, e il Governo ha cercato di mettere un freno agli ingressi pretendendo dai siriani in fuga un visto d'ingresso. E' facile capire che cosa potrebbe succedere in Libano (con grande soddisfazione dell'Isis) se alle sue frontiere si presentasse un nuovo, improvviso flusso di profughi. Che sono in gran parte sunniti, in un Paese dove la maggioranza è sciita ma la minoranza sunnita è corposa.
Qualcosa di simile sta succedendo in Iraq con i rifugiati interni. E' nota la situazione del Kurdistan, dove due milioni di rifugiati sono stati in qualche modo accolti da una popolazione di sei milioni di persone. Ma dopo la battaglia di Ramadi, città conquistata dalle milizie del califfato islamico, un'onda di disperati si è riversata sulla capitale Baghdad. Quasi 200 mila persone, è stato calcolato. E anche in questo caso, le autorità hanno cercato di frenare il flusso imponendo ai rifugiati in arrivo la presentazione di una "raccomandazione" da parte di qualcuno già residente.
Anche in questo caso, la questione umanitaria, gravissima, nasconde una crepa politica potenzialmente devastante. Perché al Governo, in Iraq, ci sono gli sciiti, mentre i profughi di Ramadi sono sunniti. E' chiaro che un provvedimento come quello può solo peggiorare i rapporti tra sunniti e sciiti iracheni. E lo stato pessimo di quei rapporti è una delle causa che spiegano, tra l'altro, anche i successi dell'Isis.
In Siria, l'Isis (soprattutto), Al Nusra e le altre formazioni armate che combattono il regime di Assad e sono più o meno legate all'estremismo islamico hanno ormai conquistato tutta la regione del Nord che confina con la Turchia. Questo significa che i profughi interni non hanno più speranza di poter fuggire in Turchia, e molte meno possibilità di prima di ricevere aiuti attraverso il confine turco, visto che il regime di Erdogan parteggia apertamente per Isis e compagni.
Questa situazione ha, ovviamente, un costo umano (le sofferenze dei profughi) ma anche un significato strategico. E' inevitabile che i siriani profughi si riversino, a questo punto, verso Sud, cioè verso il Libano, mettendo a rischio la stabilità di questo Paese. In Libano si è già vicini al tracollo, con un milione di profughi su quattro milioni di abitanti, e il Governo ha cercato di mettere un freno agli ingressi pretendendo dai siriani in fuga un visto d'ingresso. E' facile capire che cosa potrebbe succedere in Libano (con grande soddisfazione dell'Isis) se alle sue frontiere si presentasse un nuovo, improvviso flusso di profughi. Che sono in gran parte sunniti, in un Paese dove la maggioranza è sciita ma la minoranza sunnita è corposa.
Qualcosa di simile sta succedendo in Iraq con i rifugiati interni. E' nota la situazione del Kurdistan, dove due milioni di rifugiati sono stati in qualche modo accolti da una popolazione di sei milioni di persone. Ma dopo la battaglia di Ramadi, città conquistata dalle milizie del califfato islamico, un'onda di disperati si è riversata sulla capitale Baghdad. Quasi 200 mila persone, è stato calcolato. E anche in questo caso, le autorità hanno cercato di frenare il flusso imponendo ai rifugiati in arrivo la presentazione di una "raccomandazione" da parte di qualcuno già residente.
Anche in questo caso, la questione umanitaria, gravissima, nasconde una crepa politica potenzialmente devastante. Perché al Governo, in Iraq, ci sono gli sciiti, mentre i profughi di Ramadi sono sunniti. E' chiaro che un provvedimento come quello può solo peggiorare i rapporti tra sunniti e sciiti iracheni. E lo stato pessimo di quei rapporti è una delle causa che spiegano, tra l'altro, anche i successi dell'Isis.



