«Un colpo di…(traduciamo per carità di Patria, ndr.) fortuna: così pappiamo gli appalti», così parlò al telefono un ex assessore (Udeur) alle Opere pubbliche a proposito del terremoto dell’Aquila (309 morti e una città tuttora fantasma)».
Ancor più che la parola triviale che nell’originale stava al posto dell’eufemismo «fortuna» è il «pappiamo» a rivelare un’idea di mondo che dev'essere parecchio diffusa, almeno a giudicare da svariati comportamenti finiti sotto la lente della magistratura dalla Liguria alla Sicilia passando per L'Aquila e Benevento, e transitando per il Piemonte, il tutto trasversalmente all’arco parlamentare. Con la differenza che di solito chi pensa di acquistare la biancheria con i soldi pubblici (ne hanno trovata in nota spese in Piemonte ma pure in Sicilia) ha il pudore di non rivelare, nemmeno in privato agli amici, un sì elevato concetto del proprio mandato e della pubblica amministrazione. Siamo scaduti anche lì: vent'anni fa erano mazzette nel divano, oggi mutande nel taschino (decuplicato il valore, però).
Ne abbiamo sentite in tre giorni di tutti i colori (politici – Idv, ex Pdl, Pd, Udeur, Lega… – e no) e a tutti i livelli (dai Comuni ai Ministeri): non tutto sarà penalmente rilevante, ma politicamente e moralmente imbarazzante sì. E non c’è solo da disgustarsi ma pure da preoccuparsi, perché in quell'idea di mondo c'è l'anticamera (talora già varcata) della corruzione, e di corruzione, cioè di regole aggirate e di persone sbagliate al posto sbagliato, che invece di amministrare «pappano», l’economia muore.
E non muore soltanto di ruberia, ma anche (e persino di più): di spreco, di inefficienza, di evasione, di concorrenza sleale, di dispersione irrazionale di risorse, di consulenze affidate agli amici degli amici. E se non si contrasta la corruzione che tutto questo favorisce non c’è piano lavoro (o job acts) che possa compiere il miracolo economico di cui abbiamo bisogno.
Il guaio è che riscrivere le regole per rendere la giustizia efficiente, rapida, razionale e certa toccherebbe agli stessi che cercano di scapparle con il malloppo.




