Miliardi sono i poveri che spesso mancano del necessario per vivere… Del mondo essi sono la maggior parte, miliardi di persone». Per due volte nella bolla di indizione del Giubileo Spes non confundit (n. 15) e nell’enciclica Laudato si’ (n. 49), papa Francesco evoca questo numero esorbitante: sono coloro che spesso incrociamo per strada o che sopravvivono nelle periferie desolate delle metropoli o sono forse nascosti nella stanza di un condominio non distante dalla nostra abitazione.
Se volessimo rappresentare il mondo come una tavola, da un lato ci sono alcuni che hanno davanti una massa enorme di beni e di cibi spesso sprecati; d’altro lato, c’è la folla immensa di affamati e di miseri con gli occhi spalancati e con le mani aperte a raccogl iere le briciole. Sono, infatti, noti gli squilibri socio-economici, le stratosferiche differenze tra i pochi “miliardari” che posseggono fortune sterminate e, appunto, i “miliardi” di poveri. Così come è ben noto lo scandalo degli imponenti investimenti di risorse bruciate nell’industria degli armamenti.
I lettori conoscono questo e tanto altro su un tema lacerante che nell’attuale domenica è messo davanti a tutti i fedeli, attraverso il Giubileo dei poveri, e che anche noi ricordiamo puntando su un aspetto, l’indifferenza. Lasciamo la voce a due protagonisti biblici. Il primo è il profeta Amos (VIII sec. a.C.), un pecoraio lanciato da Dio a denunciare la vergogna delle alte classi sociali e politiche della città di Samaria: vivevano nello spreco, possedevano ville estive e invernali, banchettavano in saloni tappezzati di manufatti d’avorio e si abbandonavano a orge, mentre i poveri erano venduti sul mercato pubblico come schiavi per il costo di un paio di sandali (2,7).
La sua denuncia diventava fin parossistica come quando urlava alle donne aristocratiche questo insulto: «Ascoltate, vacche di Basan, che opprimete i deboli e schiacciate i poveri, e dite ai vostri mariti: Porta qua, beviamo!» (4,1). Anche gli altri profeti scuotono le coscienze intorpidite ed è su questa scia che papa Francesco non cessa di rimettere davanti agli occhi di tutti lo scandalo della povertà. Egli segue soprattutto la seconda voce che facciamo risuonare, quella di Gesù.
Evochiamo solo una celebre parabola che, tra l’altro, la liturgia domenicale ha proposto durante quest’anno. È quella, narrata da Luca (16,19-31), che è stata denominata con un termine obsoleto nel linguaggio comune, “il ricco epulone”, un signorotto egoista e gaudente. Ecco un palazzo con una sala per banchetti, una mensa sontuosa con manicaretti destinati agli ospiti che si puliscono le dita unte di grasso con mollica di pane che gettano sul pavimento. Ed ecco un poveraccio, seduto sulla soglia del portale che allunga gli occhi e la gola, bramoso di sfamarsi anche solo con quei frammenti di pane e che ha come compagnia solo i cani.
È lui, Lazzaro, l’unico personaggio di tutte le parabole di Gesù che ha un nome, una figura ignorata da tutti. I lettori conoscono il sorprendente finale del racconto: l’indifferenza di fronte alla povertà è un male morale che può diventare un male mortale. È Gesù ancora a ripetere: «Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione! Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame!» (Luca 6,24-25).


