Se nella scorsa domenica abbiamo potuto ascoltare l’apertura delle diatribe che si svolgono tra Gesù e i farisei nel Tempio di Gerusalemme a pochi giorni dalla sua crocifi ssione, nella IX Domenica dopo Pentecoste la liturgia ci consegna la chiusura dello scontro. Matteo ha raccontato un confronto che ha visto Gesù sempre superiore ai suoi avversari e che ora esce defi nitivamente vincente dalla discussione fi nale. Diversamente dalle tre diatribe precedenti, stavolta è Lui a provocare i suoi interlocutori con una domanda iniziale da cui nasce un botta e risposta che lascia alla fi ne i farisei senza parole. Il Maestro di Nazaret, per nulla intimorito dai battibecchi precedenti, sembra intenzionato a voler chiudere i conti andando al cuore della questione. Va a cercare i suoi avversari mentre si trovano riuniti e pone la domanda decisiva, quella attorno all’identità del Cristo e, dunque, alla sua stessa identità. 

È il culmine delle dispute e, allo stesso tempo, la questione fondamentale del Vangelo intero: chi è il Cristo? Chi è Gesù di Nazaret? Come può essere Lui il Messia atteso? L’interrogativo che i farisei si sentono rivolgere ribalta la questione: da cacciatori che tendono trappole si trovano messi alle strette da parole decisive sulle quali ci si gioca tutto.

Alle loro orecchie, la domanda di Gesù suona come una mera questione messianologica riguardante gli antenati del Cristo e la sua casata di appartenenza. La loro risposta, infatti – e non potrebbe essere altrimenti – è scolastica e perfetta: il Messia è discendente di Davide. Ovviamente, agli orecchi dei lettori di Matteo e nostri, il quesito suona in modo molto diverso apparendo come riguardante Gesù stesso e la sua fi gliolanza divina. Anche per i lettori di Matteo, ovviamente, il Cristo è fi glio di Davide, ma in quanto discepoli del Vangelo sanno molto bene che si tratta di Gesù stesso, da loro riconosciuto come «fi glio del Dio vivente», secondo le parole di Pietro.

Alla risposta dei farisei fa seguito una nuova domanda da parte di Gesù, che può apparire tanto come la richiesta di una precisazione quanto come contestazione di qualche aspetto contraddittorio di quanto hanno aff ermato. In un caso o nell’altro, il quesito è costruito su un passo biblico (Salmo 110,1) la cui sostanza viene già anticipata dall’introduzione di Gesù: Davide, nel testo considerato autore del Salmo, proprio in tale composizione sembra chiamare il Messia come suo «Signore» e non «fi glio». I lettori di Matteo che hanno riconosciuto in Gesù il Cristo Figlio di Dio, innalzato alla destra di Dio e Signore di ogni cosa, potevano immediatamente interpretare il Salmo in senso messianico e profetico, rispondendo correttamente alla domanda posta ai farisei, cosa che questi ultimi, evidentemente non potevano fare.

Gli avversari di Gesù non possono che considerare l’ultimo quesito posto loro un enigma senza risposta, ritirandosi in un silenzio segno dell’incapacità di sostenere oltre il confronto. Le schermaglie verbali lasceranno così presto il posto al rumore delle armi.