Il pretesto dell’insegnamento di Gesù che ascoltiamo nella proposta evangelica della X domenica dopo la Pentecoste tratta da Luca è il famoso incontro con il ricco, che nel terzo Vangelo è identifi cato con un notabile.
Il tema del botta e risposta tra Gesù e quell’uomo è il raggiungimento della salvezza, quella che il notabile chiama «la vita eterna». Come si ottiene e cosa si deve fare per averla in ricompensa è la questione posta dal ricco a Gesù. Il Maestro lo invita a osservare i comandamenti e riceve in risposta la conferma di un’obbedienza piena e fedele. Il notabile, per tutta risposta, invece di un apprezzamento per la sua condotta, si sente rivolgere un invito di una radicalità più estrema: distribuire tutti i beni ai poveri e seguire Gesù. L’impegno interiore deve corrispondere a una pratica esteriore il cui carattere esigente è spiazzante. Il notabile, sconcertato e incapace al momento di compiere il passo, sprofonda in una tristezza che sa di (momentanea?) sconfitta.
Sulla scia di questo incontro, Gesù coglie l’occasione per off rire ai suoi discepoli un ulteriore insegnamento riguardo al tema della ricchezza e del rapporto con i beni. Lo aveva già fatto in precedenza (12,1321.33- 34; 14,33; 16,913; 16,1931) con parole che tendevano a problematizzare fortemente il possesso e l’accumulo di cose materiali. L’immagine di ricchezza che ne esce è quella di una forza incatenante, che tende a rendere schiavo chi la insegue, promettendo una salvezza che però è assolutamente effimera.
Qui, Gesù sembra voler chiudere il cerchio stabilendo una sorta di nuova ascesi rispetto al possesso delle ricchezze, che sembrano essere un pericolo assoluto per chi cerca la vera vita evangelica. L’immagine della cruna e del cammello è indiscutibilmente eloquente: una volta che si è schiavi dei propri beni sembra impossibile emanciparsene. La reazione del notabile ne è un esempio. Eppure, se di Vangelo si tratta, una porta deve restare aperta anche per chi appare irrimediabilmente perduto e Gesù si affretta a ricordare come la salvezza vera non sia affatto qualcosa che si possa acquistare – che la si voglia pagare in moneta o in buone opere – ma sempre un dono della grazia divina. La salvezza è sempre possibile, perché è nelle mani del Signore e non delle capacità umane. Si comprende, ora, che il problema del notabile, prima ancora dell’attaccamento alle ricchezze, era l’incapacità di consegnarsi totalmente alla volontà di salvezza del Padre di Gesù e Padre di tutti.
Pietro, di fronte alle parole tanto severe quanto consolanti del Maestro, si affretta a fare notare come lui e gli altri discepoli abbiano risposto con prontezza e radicalità alla sua chiamata lasciando ogni cosa per seguirlo. Nelle sue parole, connotate da una certa fierezza, non ci sono richieste esplicite, ma si avverte la domanda implicita su che ne sarà di loro. La risposta non si fa attendere: la scelta fatta conduce a una vita piena, tanto nel presente della sequela, quanto nell’atteso e futuro compimento definitivo.


