Tre domeniche dopo la memoria del suo martirio, nel lezionario della Chiesa ambrosiana risuona ancora la voce del Battista. È Gesù che ne parla nel vangelo di Giovanni, quando ne descrive la figura ricorrendo alla categoria di “testimone”. I termini “testimone”, “testimonianza” e il verbo “testimoniare” ritornano, solo nella pagina del Vangelo di oggi, nove volte, cosicché sembra quasi di essere in un tribunale. Infatti, il lessico del giudizio è fortemente presente nel vangelo di Giovanni, come si vede anche nelle parole sul «giudizio giusto» che Gesù dice di compiere.
Siamo nel contesto del racconto della guarigione del paralitico che si trovava nella piscina vicina alla porta delle Pecore di Gerusalemme, e, subito dopo il miracolo, Gesù è accusato di non osservare il sabato. Gesù viene come chiamato alla sbarra, e infatti uno dei modi di leggere il vangelo di Giovanni è quello di considerarlo un lungo processo a Gesù: ci sono gli accusatori, le prove contro di lui, ma anche i testimoni a suo favore; il primo di questi a comparire è, già all’inizio del vangelo, il Battista, «l’uomo mandato da Dio» che «venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui» (Giovanni 1,7).
La metafora giuridica ritorna frequentemente anche nei libri profetici, come ci mostra la pagina odierna di Isaia. Qui è Dio stesso che chiama alla sbarra addirittura il suo popolo («Fammi ricordare, discutiamo insieme, parla tu per giustificarti»), e però promette anche di assolverlo dai suoi peccati («Io, io cancello i tuoi misfatti per amore di me stesso, e non ricordo più i tuoi peccati»). Gioverà chiarire questo concetto, che illuminerà anche la scena del Vangelo.
È soprattutto importante sottolineare che nelle liti di cui parlano i profeti, il querelante, o l’accusatore (cioè Dio stesso) non vuole la condanna del colpevole, ma la sua conversione, allo scopo di perdonare i peccati e di riaprire uno spiraglio nella relazione. Quanto possiamo imparare dall’atteggiamento che Dio osserva nei confronti di chi sbaglia, e che dovremmo imitare anche noi!
Tornando alla pagina del Vangelo, osserviamo che Gesù non solo si scagiona dalle false accuse, ma chiede ai suoi avversari di riconsiderare la loro posizione, guardando meglio a quello che Lui stesso ha compiuto. Non si tratta più di fidarsi di “testimoni” a suo favore, come il Battista, che tra l’altro è ormai scomparso dalla scena (nei vangeli di Marco, Matteo e Luca, si legge che il Battista è arrestato e poi messo a morte da Erode Antipa): c’è una testimonianza ancor più evidente, quella delle opere di Gesù, cioè dei suoi miracoli (nel Quarto vangelo mai è usata questa parola), che diventano perciò «segni» che testimoniano a favore del Messia.
Ma quanto è difficile giudicare, e come è facile che accada, ancora oggi, che un innocente sia condannato e un colpevole rilasciato. Chiediamo a Dio di farci vedere la realtà per quella che è, e di non giudicarla erroneamente, ma secondo il suo Spirito.
Siamo nel contesto del racconto della guarigione del paralitico che si trovava nella piscina vicina alla porta delle Pecore di Gerusalemme, e, subito dopo il miracolo, Gesù è accusato di non osservare il sabato. Gesù viene come chiamato alla sbarra, e infatti uno dei modi di leggere il vangelo di Giovanni è quello di considerarlo un lungo processo a Gesù: ci sono gli accusatori, le prove contro di lui, ma anche i testimoni a suo favore; il primo di questi a comparire è, già all’inizio del vangelo, il Battista, «l’uomo mandato da Dio» che «venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui» (Giovanni 1,7).
La metafora giuridica ritorna frequentemente anche nei libri profetici, come ci mostra la pagina odierna di Isaia. Qui è Dio stesso che chiama alla sbarra addirittura il suo popolo («Fammi ricordare, discutiamo insieme, parla tu per giustificarti»), e però promette anche di assolverlo dai suoi peccati («Io, io cancello i tuoi misfatti per amore di me stesso, e non ricordo più i tuoi peccati»). Gioverà chiarire questo concetto, che illuminerà anche la scena del Vangelo.
È soprattutto importante sottolineare che nelle liti di cui parlano i profeti, il querelante, o l’accusatore (cioè Dio stesso) non vuole la condanna del colpevole, ma la sua conversione, allo scopo di perdonare i peccati e di riaprire uno spiraglio nella relazione. Quanto possiamo imparare dall’atteggiamento che Dio osserva nei confronti di chi sbaglia, e che dovremmo imitare anche noi!
Tornando alla pagina del Vangelo, osserviamo che Gesù non solo si scagiona dalle false accuse, ma chiede ai suoi avversari di riconsiderare la loro posizione, guardando meglio a quello che Lui stesso ha compiuto. Non si tratta più di fidarsi di “testimoni” a suo favore, come il Battista, che tra l’altro è ormai scomparso dalla scena (nei vangeli di Marco, Matteo e Luca, si legge che il Battista è arrestato e poi messo a morte da Erode Antipa): c’è una testimonianza ancor più evidente, quella delle opere di Gesù, cioè dei suoi miracoli (nel Quarto vangelo mai è usata questa parola), che diventano perciò «segni» che testimoniano a favore del Messia.
Ma quanto è difficile giudicare, e come è facile che accada, ancora oggi, che un innocente sia condannato e un colpevole rilasciato. Chiediamo a Dio di farci vedere la realtà per quella che è, e di non giudicarla erroneamente, ma secondo il suo Spirito.


