Nella terza domenica del mese di ottobre ricorre liturgicamente la festa della Dedicazione del Duomo di Milano e, in questa circostanza, torniamo a confrontarci con il cosiddetto «Discorso della pianura» del capitolo 6 di Luca nella sua sezione fi nale, dedicata ad alcuni detti e parabolette.
Abbiamo già avuto modo di ascoltare, poche settimane or sono, il cuore del discorso nel quale Gesù declina, in modo estremamente esigente e radicale, la legge che lui ritiene essere quella fondamentale della relazione umana, cioè quella dell’amore off erto senza distinzioni né condizioni. In questo fi nale del discorso non c’è invece un tema prevalente, ma ve ne sono diversi raggruppati per consonanza, come i detti sapienziali sull’inopportunità di guidare altri se si è ciechi, sull’impossibilità di superare il proprio maestro e sull’importanza di essere adeguatamente preparati per aiutare gli altri, con l’immagine famosa della trave e della pagliuzza nell’occhio. A questi, si aggiungono i versetti che la liturgia ci propone, con le immagini dell’albero che fruttifi ca, il tesoro da cui trarre cose buone o cattive e la costruzione di una casa su basi solide o meno.
La prima immagine pesca dalla più banale esperienza contadina: ci sono alberi che producono frutti commestibili e altri che non lo fanno, in ogni caso la qualità della pianta è defi nita e nessuno si aspetta che un albero cattivo possa produrre frutti commestibili. Il tono dell’aff ermazione, fortemente retorico, viene rinforzato dall’immagine successiva che paragona due frutti commestibili (uva e fi chi) ad alberi improduttivi ai quali nessuno mai si volgerebbe per cercare qualcosa di buono da mangiare. Lo scopo delle immagini è chiaro: i discepoli non devono limitarsi ad aderire nominalmente al Vangelo ma devono produrre frutti concreti. La differenza tra l’una e l’altra cosa sarà chiara quanto la diff erenza tra un rovo e una vite proprio perché riguarderà l’agire di ciascuno in opere e parole.
L’immagine seguente che paragona il cuore a un tesoro da cui pescare, aff erma che tutto ha una sorgente precisa nell’interiorità della persona. Il profondo dell’animo è il luogo della decisione, della responsabilità. Ognuno è responsabile di ciò che trae dal proprio cuore, qualifi candosi di conseguenza come «persona buona» o «persona cattiva». Il cuore sembra una fontana e la bocca l’ugello da cui traborda, ciò che l’animo non sa o non può più trattenere rivelandone così la qualità.
In conclusione, Luca tocca anche le circostanze in cui parola e azione, promessa e attuazione non si corrispondono, creando le condizioni dell’ipocrisia e dell’incoerenza. I destinatari di quest’ultimo insegnamento sono i credenti che nell’orazione riconoscono Gesù come Signore e tuttavia lo rinnegano in ciò che esula dalla sfera religiosa. L’immagine dei due modi di costruire – un con fondamento e uno senza – è esplicita: la fede professata e non concretizzata è inconsistente e conduce a una vita potenzialmente rovinosa.


