In risposta alla richiesta di dirimere una questione di eredità tra due fratelli, Gesù, con una parabola e alcuni detti sapienziali, propone delle raccomandazioni riguardo l’importanza di non lasciarsi prendere dalla cupidigia, dalla brama del possesso e dall’illusione dell’accumulo di beni. In mezzo a questo insegnamento sapienziale si trovano i versetti evangelici che ascoltiamo nella seconda domenica dopo la Pentecoste.

Va subito osservato che queste parole del Maestro esprimono una sapienza che appare sconvolgente e contro ogni ragionevolezza. Se nel resto dell’insegnamento circa il rapporto coi beni il tema è il superfluo, qui infatti l’oggetto è il necessario per vivere, del quale Gesù afferma che non occorre preoccuparsi. Ma si può vivere senza nulla? Non è responsabilità di ciascuno pensare al sostentamento proprio e di chi gli è affidato? È realistico vivere così spensieratamente? Domande più che legittime, ma che non ci autorizzano ad archiviare queste parole come impraticabili e tantomeno ad addomesticarle indebolendone la forza prorompente.

Facciamo notare come l’intento di Gesù non sia spegnere ogni desiderio, bensì distinguere oggetti e atteggiamenti della ricerca umana. Se inizialmente afferma che è bene non preoccuparsi del cibo e del vestito, nel finale sostiene che invece è necessario farlo del «regno del Padre» cercandolo attivamente.

Ci sono dunque ricerche legittime e preoccupazioni malsane. Queste ultime sono tali se diventano prioritarie offuscando la mente con le ansie e chiudendo le persone dentro egoismi ciechi ai bisogni del prossimo.

Dicendo che la persona conta di più di ciò che mangia e indossa, il testo invita i lettori a occuparsi di ciò su cui è fondata la loro vita, piuttosto che delle cose che la sostengono provvisoriamente. Non è inutile ricordare che nel Padre nostro vi è un richiamo al necessario per vivere, dunque Gesù non trascura l’indispensabile, però lo pone al secondo posto e, in ogni caso, lo indica come uno snodo della fede attraverso cui vivere la riconoscenza e responsabilità davanti al Padre.

D’altronde, fa notare il Maestro, la sostanza della nostra esistenza non è certo nelle nostre mani poiché nessuno è in grado di prolungare a piacere la propria vita. Essa resta un dono che ci viene liberamente partecipato e questa deve essere la prospettiva anche del rapporto con i beni. Colui che dona la vita offre anche il necessario per viverla appieno; dunque, le preoccupazioni che spingono all’accumulo o all’eccesso di consumo non sono solo una questione etica, ma di vera e propria fede. Oltretutto, sono proprio le ansie a favorire uno sguardo diffidente sul prossimo che diventa inevitabilmente un concorrente nella gara a conquistare il necessario, se non addirittura un nemico.

Al contrario, chi cerca «il Regno» – cioè chi si impegna a vivere la parola del Padre che chiede di chiamare il prossimo «fratello» o «sorella» – fa della condivisione con l’altro la legge del rapporto con i beni la cui destinazione è sempre universale, trasformandoli così in un concreto mezzo per costruire nuove relazioni.