Il brano di Vangelo della VI Domenica dopo la Pentecoste si apre con l’ultima parola pronunciata dal Gesù terreno nello scritto di Giovanni: «È compiuto». Ha appena ricevuto dai soldati del vino agro in risposta al suo grido assetato.

Una sete che indubbiamente era conseguenza del supplizio ma che non può non avere, nella cornice giovannea, una forte valenza simbolica. Durante il suo arresto aveva infatti affermato con forza: «Non berrò forse il calice che il Padre mi ha dato?» (Giovanni 18,11), esprimendo tutta la sua determinazione che la volontà di vita del Padre si compisse. In quell’«Ho sete» che precede l’«È compiuto» riecheggia il desiderio profondo di Gesù di portare la salvezza al suo estremo.

In questa stessa prospettiva, dunque, lo Spirito che consegna nella sua morte non è solamente l’ultimo respiro, ma lo Spirito che dà la Vita e che viene effuso a benefi cio dell’umanità. Sul Calvario si rivela così il patto di alleanza, eterno e incondizionato, che lega Dio e l’umanità, di cui il racconto di Esodo che ascoltiamo come prima lettura è anticipazione e immagine.

Morto Gesù, i Giudei chiedono a Pilato di concludere l’esecuzione spezzando le gambe ai condannati, per poterli poi rimuovere rapidamente così da evitare problemi di impurità rituale rispetto al sabato che si apprestavano a celebrare. I soldati eseguono il macabro rituale eccetto che su Gesù che risulta già morto. Il colpo di lancia fa da colpo di grazia, necessario per assicurarsi della morte effettiva.

Giovanni aggiunge però signifi cati ulteriori al gesto cruento descrivendone gli effetti con la fuoriuscita del sangue e dell’acqua. Il senso immediato è l’affermazione della realtà della morte di Cristo: il Crocifisso era vero uomo e il mistero dell’incarnazione viene mostrato nella sua conseguenza più estrema, quella della morte. Tuttavia i termini «sangue» e «acqua» per i lettori del Vangelo hanno degli evidenti richiami all’Eucaristia e al Battesimo. Dunque, i segni in uso nella comunità di Giovanni vengono qui radicati nella morte di Cristo che appare come “morte fruttuosa”, capace di procurare la vita piena.

La narrazione viene conclusa con il riferimento alla testimonianza diretta – che il contesto precedente ci fa attribuire al cosiddetto «discepolo amato» – per poi concludersi con due importanti citazioni scritturistiche di adempimento, escluse però dalla sezione liturgica.

La seconda, in particolare – «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafi tto» – è presa da Zaccaria, in una sezione in cui si tratta la morte-martirio di un misterioso inviato divino, per la quale avviene il ristabilimento del popolo e il fiorire di atteggiamenti di buona volontà.

Nell’applicazione giovannea, lo sguardo al Crocefisso va inteso come il «vedere» della fede, dunque come azione dal valore salvifico che nel futuro caratterizzerà i credenti, capaci di «vedere il Signore» per mezzo della fede.

Uno sguardo che salva e che spinge a produrre frutti di bene colui che ne è l’autore.