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Isaia proclama di nuovo che sarà preparata una via, questa volta per il popolo dell’alleanza, affinché possa camminare in piano e senza inciampi. Ma il popolo vuole mettersi in cammino? In ogni caso è Dio a venire incontro e ad arrivare come salvatore. Proprio questa è la sua giustizia: viene a salvare, non a portare rovina e morte. Questa ennesima salvezza e liberazione darà al popolo eletto la sua caratteristica davanti alla storia. Esso apparirà nella santità di Dio in quanto popolo al quale è ogni volta restituita vita in pienezza: schiavi riscattati, ricercati e non, invece, abbandonati. Dio è giusto perché giustifica un vivere che non può essere né assurdo né un imbroglio. Paolo dalla sua prigionia per il Vangelo scrive ai cristiani di Filippi, una comunità oppressa dalla cultura dominante in una città che vuole essere campionessa nel sostenere l’ideologia imperiale di Roma. Di questa ideologia fa parte non marginalmente il culto dell’Imperatore e l’ambizione di venire iscritti nel libro dove venivano annotati i nomi di coloro che erano risultati i migliori tra i romani. A questo libro Paolo oppone quello di Dio, il libro della vita, nel quale sono scritti i nomi di tutti quelli che sono affascinati da Gesù e dal suo modo di vivere. Più ancora, quella di Filippi una comunità cristiana bersagliata dai nemici personali di Paolo, ebrei e cristiani, che non condividono la sua teologia. Ma Paolo non ha a cuore la sua teologia, gli importa che i Filippesi restino attaccati a Gesù e al suo Vangelo. Questo darà loro pace e gioia, nella condivisione non solo della fede bensì anche della forza necessaria a sopportare quello che essere di Cristo costa: la persecuzione. Invita tutti a comportarsi bene, ad amare; eppure questo suscita odio. Che strano: è comprensibile che l’odio susciti odio; ma che sia l’amore a suscitare l’odio…che paradosso! D’altra parte, se Gesù chiede di amare i nemici, come può il Vangelo non risultare indigesto a coloro che per difendere un’identità devono per forza discriminare, escludere, considerare inferiori, sbagliati o nemici quelli che non sono come loro? Il vangelo di Luca ci offre il racconto dell’annuncio a Maria: avrà un figlio e sarà più grande dell’Imperatore romano. Non può sfuggire infatti che i titoli attribuiti a questo bambino erano usati per descrivere le prerogative degli imperatori: grande, figlio di Dio, trono, regno senza fine… Eppure l’annuncio è rivolto a una giovane donna di Nazaret, in una casa che certo non può competere con la maestosità del tempio di Gerusalemme. Questo è il paradosso evangelico: il grande è nel piccolo; il potente è nel debole; la vittoria appare come una sconfitta; il servizio al Signore non reca vantaggi mondani. Credo che a Maria questo paradosso non sia sfuggito. Anzi, proprio perché è stata capace di scorgere un Dio così diverso e tanto affascinante, ha potuto dire «Avvenga per me secondo la tua parola». In quanto rivolta a una piccola come me, questa parola che mi rende coprotagonista della storia salvifica non può che venire dal Dio vero.





