Rilanciando l’intenzione del tempo di Avvento, il profeta Baruc ci invita a contemplare la gioia che viene da Dio. Non ogni gioia è buona, c’è anche una gioia maligna: è buona la gioia che sorge dalla visione della salvezza, donata da Dio come pace e giustizia che, per defi nizione, non possono riguardare solo un individuo, ma molti. Il luogo, il popolo, la comunità che accoglie questo dono di Dio sarà riverbero della sua gloria, poiché «gloria di Dio è l’uomo che vive» (sant’Ireneo) e Gesù è venuto affi nché tutti abbiano vita in abbondanza (Giovanni 10,10).

In questa prima lettura l’immagine che autorizza la fine del lutto è quella di un nuovo esodo. Dopo quello dall’Egitto, ora ci sarà quello da Babilonia. Gesù conferma per sempre il Dio degli esodi: un Padre che manda suo Figlio per far uscire da ogni schiavitù. Tuttavia, come è stato faticoso per Gesù, non possiamo pensare che i nostri esodi saranno passeggiate di salute. Qualche fatica la dovremo mettere in conto. Uscire vuol dire sapere cosa lasci ma non quello che troverai, né come. Il popolo degli schiavi liberati ci ha messo poco a rimpiangere le cipolle e la carne della schiavitù d’Egitto.

Nella lettera Romani, san Paolo dà concretezza a queste “uscite” parlando della cura per il prossimo. Occorre rompere l’inclinazione a “compiacere se stessi” per accogliere nella propria esistenza l’altro e i suoi bisogni. Non è facile, specialmente oggi, dove domina una cultura individualista. Il servizio fraterno, rivolto soprattutto a chi ha più bisogno, è vitale per una Chiesa che desideri off rire al mondo uscite salvifi che. Prendersi cura di chi è nel bisogno vuol dire sostenere chi è messo alla prova. Il male subìto sempre rischia di smentire fiducia e speranza, con la conseguenza di raffreddare l’amore. Aiutare tutti coloro che hanno ragioni per lasciarsi prendere dallo scoramento, vuol dire mettersi al servizio della loro speranza, della loro fiducia e del loro amore. La cura ecclesiale per la speranza è un servizio insieme umano, religioso, culturale e politico (nel senso più alto della parola).

Luca ci offre la testimonianza di Giovanni Battista, colui che viene prima di Gesù per preparargli la strada. A coloro che accorrono consapevoli di aver bisogno di purifi cazione, Giovanni chiede per prima cosa conversione, senza rintanarsi in giustificazioni rassicuranti: cambiare vita è un cammino di uscita; restare fermi nelle proprie rassicurazioni è immobilismo e chiusura. La seconda cosa, molto concreta, è capace di dare forma alla vita nuova: condividere, non sfruttare, non approfi ttare nella propria posizione di forza.

Infine Giovanni annuncia la venuta di Gesù, sebbene la immagini in un modo che il profeta di Nazaret in parte correggerà. Allora per noi cosa viene? Che veniamo tutti dopo Gesù, senza esserne all’altezza. Come Giovanni, quando ci va bene, siamo precursori, mediatori dell’incontro tra Gesù e altre persone. L’importante è sapere che nessuno di noi è Gesù, tutti siamo al servizio di un incontro che, quando avviene, un po’ ci rende inutili.