Il racconto evangelico che ci propone la liturgia della XI Domenica dopo Pentecoste ci mette davanti a una domanda che i discepoli fanno a Gesù, apparentemente senza ragioni particolari. La questione posta riguarda «il più grande» nel regno dei cieli. Il termine che Matteo mette sulla bocca dei discepoli indica una grandezza in senso gerarchico, di rango e dignità. Stanno guardando al regno dei cieli allo stesso modo con cui abitualmente considerano i regni del mondo, fondati tutti su scale di potere.
La risposta del Maestro permette di comprendere che la loro non è affatto una domanda generica o meramente speculativa ma una del tutto interessata: i discepoli stanno valutando la loro posizione nel regno futuro. Gesù non risponde direttamente, ma chiama un bambino dicendo ai suoi che devono “cambiare” per diventare come lui. Non parla di conversione, propriamente, ma di una trasformazione profonda che tocca tutta l’esistenza.
Ridiventare bambini è ovviamente impossibile, ma tale impossibilità suggerisce che quanto richiesto è uno stile di vita così radicale ed esigente da apparire contrario a quel che avviene per natura. Ma dunque cosa intende Gesù e cosa sta realmente chiedendo ai suoi? Per comprenderlo va tenuta in considerazione l’espressione usata come punto di contatto tra bambini e discepoli: quel «farsi piccoli» che nel testo originale è reso con un verbo il cui signifi cato proprio sarebbe «rendere basso». Colui che sta in basso è insignifi cante, impotente, irrilevante, debole e precario. Come i bambini del tempo di Gesù che godevano di uno status sociale inconsistente.
Il termine usato da Matteo per indicarli veniva usato anche per gli schiavi, il che aiuta a comprendere l’accento dell’evangelista sulla scarsa considerazione sociale. Dunque, il Maestro chiede ai discepoli, preoccupati di scalare gerarchie, di scendere in basso. Se vogliono comprendere il regno dei cieli – ed essere compresi in esso – devono consapevolmente e deliberatamente abbassarsi. Con ciò non devono solo preoccuparsi di coltivare un’umiltà interiore, ma uno stile di vita che contempli l’accoglienza di poveri e piccoli, il rifiuto degli onori, la rinuncia agli arrivismi, la scelta della mitezza e l’abbandono della corsa al potere.
Il Vangelo chiede il capovolgimento dei criteri mondani per comprendere la logica di Dio. Uno speciale rapporto di intimità con Lui – rappresentato dagli angeli che vedono il suo volto – è garantito proprio a chi sta così in basso. In questa prospettiva si comprende l’asprezza dei moniti che accompagnano l’insegnamento di Gesù. Chi sceglie la via dell’abbassamento rendendosi debole e fragile – i “piccoli da non scandalizzare” – deve essere trattato con considerazione e cura, così che si senta consolato e rinfrancato nella sua scelta e riconosca la Provvidenza divina che lo accompagna. Dunque è bene che la comunità si dia da fare per non essere loro di intralcio, ma piuttosto per agevolarne il cammino, mettendo in ciò il massimo impegno e la massima serietà possibili.


