Il brano evangelico della I Domenica dopo il Martirio del Precursore, tratto da Matteo, ci mette a contatto con il nucleo dell’annuncio di Gesù in mezzo alla sua gente: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Matteo, conclusi i racconti dell’infanzia, ha presentato la fi gura del Battista, raccontato il battesimo di Gesù e proposto, in forma narrativa con il brano delle tentazioni, l’esperienza del dilemma interiore su chi servire, che ha toccato anche la coscienza del Figlio di Dio.

Già nei Vangeli dell’infanzia e ancora più con la lotta nel deserto, l’evangelista dà a intendere ai suoi lettori che la vicenda del Figlio di Dio – e dunque del suo Vangelo – può essere raccontata come un confronto tra regni, tra potenze che intendono avere qualche forma di sovranità, o almeno di ascendente, sul mondo umano. Sul campo ci sono i regni mondani con i loro criteri, modi e scopi, di volta in volta rappresentati da soggetti diversi (Erode, il potere romano, i capi del popolo…) e il «regno dei cieli», che si propone come alternativa radicale e totalmente opposta ad essi.

Cosa dobbiamo intendere, però, con l’espressione «regno dei cieli»? Nell’annuncio evangelico, come già abbiamo lasciato intendere, appare come una forza presente e operante nella storia in modo già concreto, ma allo stesso tempo come una realtà in divenire, non ancora pienamente compiuta e in continua evoluzione e fermento. Potremmo descriverla come la paternità (o maternità) divina in azione nella storia, con la sua energia vivifi cante e amante. È il Dio che genera e rigenera e che chiama l’umano a un’esistenza vissuta all’insegna del dono, per costruire legami di comunione e giustizia nella cura vicendevole.

In un regno così, fare giustizia è usare misericordia, arricchirsi è condividere, essere i primi è stare all’ultimo posto, amare è l’unica legge, i poveri e i piccoli sono il bene più prezioso. «Entrare nel regno» consiste anzitutto nell’accogliere la Parola che lo annuncia, per vivere di conseguenza questo tempo, sapendo che il defi nitivo ne sarà il prosieguo conseguente. Si comprende facilmente che chi annuncia o accoglie un regno così non potrà che scontrarsi con quelli mondani, che hanno logiche molto distanti se non opposte ad esso.

La lotta, in Matteo, appare fin da subito impari e per certi versi paradossale: un re come Erode si scatena in tutta la sua forza crudele contro un bambino; colui che si vanta di poter disporre di tutti i beni e poteri della terra – il diavolo – si accanisce contro un uomo solo, indebolito e annebbiato dal digiuno. Entrambi ne escono sconfi tti e umiliati, promuovendo quel bimbo e quell’uomo fragile a immagini vive e concrete di ciò che in simboli racconterà la parabola del granello di senape. Il «regno dei cieli» va compiendosi, in modi e per vie inconsuete ma non meno effi caci e solide. L’annuncio di un simile regno non può che cominciare, dunque, in una terra lontana dai centri del potere gerosolimitani, vicina al mondo pagano e apparentemente sterile come la Galilea. Proprio lì, dalla periferia meno nobile comincia a germogliare il granello di senape.