Matteo, nel suo Vangelo, dalla metà del capitolo quarto fi no all’undicesimo introduce i suoi lettori all’attività pubblica di Gesù, parole e opere tutte rivolte al popolo di Israele: annuncia, insegna, cura i malati percorrendo tutta la Galilea. Questa parte del primo Vangelo ci regala perle come il discorso della montagna, la chiamata di Matteo, svariate guarigioni (il lebbroso, il servo del centurione, la suocera di Pietro, l’emorroissa…). Quasi verso la conclusione di questa grande sezione, Matteo colloca anche la chiamata dei Dodici e un altro importante discorso a loro rivolto, cosiddetto «missionario». I tre versetti che la liturgia della VI Domenica dopo il Martirio del Precursore propone come lettura evangelica sono la conclusione di tale discorso e vanno letti a partire da esso.
Raccontando la chiamata dei Dodici e il discorso missionario dopo aver descritto l’azione di Gesù verso la gente, Matteo lascia intendere che i discepoli dovranno essere la diretta continuazione dell’opera del Maestro: stessi obiettivi, stesse intenzioni, stesso stile, stessi destinatari, stessi contenuti. Le parole e le opere di Gesù hanno annunciato il regno di Dio come un principio di guarigione, di liberazione, di consolazione, di misericordia, di riscatto; in una parola: di salvezza. La missione dei discepoli si colloca dentro questo movimento, perciò Matteo introduce così la chiamata dei Dodici: «Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfi nite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!”» (Matteo 9,36-38).
Per annunciare la compassione di Dio, occorrono operai che abbiano un cuore capace di fremere davanti all’umanità dolente. Non dovranno compiere imprese eroiche ma lasciare che la loro umanità si esprima in tutta la sua potenzialità di misericordia e tenerezza per le ferite umane. La missione non sarà una campagna di conquista, né una dimostrazione di forza o l’aff ermazione di una qualsiasi superiorità, tutt’altro. Sarà un delicato, solidale e misericordioso farsi prossimo, portando parole e gesti di speranza.
Così, i discepoli non potranno che andare spogli, disarmati e bisognosi, pronti a curare ma anche a farsi curare, a donare ma anche a ricevere, a consolare e a lasciarsi supportare. Qualcuno approfi tterà della loro debolezza e li colpirà. Saranno traditi e consegnati ai tribunali, colpiti e imprigionati. Non dovranno però scoraggiarsi e ancora meno perdere la franchezza della parola e la fedeltà allo stile del Maestro, quand’anche ciò dovesse costare addirittura la riprovazione da parte degli aff etti più cari.
UUomini e donne così saranno Vangelo fatto carne. Umanità in cui splende e si tocca con mano il volto del Figlio e di colui che l’ha mandato. Per questo, anche il più minimo segno di riconoscenza e sostegno off erto a loro – un bicchiere d’acqua – vale quanto una limpida e solenne professione di fede.


