Lettura del Vangelo secondo Luca (17,7-10)
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: «"Vieni subito e mettiti a tavola"? Non gli dirà piuttosto: "Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu"? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare"».
Dalla Parola alla vita
Questo brano di Vangelo è imbarazzante per la nostra mentalità; occorre perciò cercare di interpretarlo in modo corretto. L’evangelista Luca ha raccolto in un unico discorso di Gesù istruzioni diverse date ai discepoli che riguardano lo scandalo dato ai «piccoli» e il perdono; questa breve raccolta di istruzioni si chiude con la parabola che prende spunto dal rapporto, esistente all’epoca, tra un padrone e il suo schiavo. Gesù, partendo dal rapporto disumano della schiavitù, per cui il servo è proprietà del padrone, traccia il profilo del vero discepolo nei suoi rapporti con Dio e con i fratelli nella comunità.
1. «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi». Il comportamento del padrone è crudele; il servo è appena tornato dal duro lavoro dei campi e non gli viene concesso neppure un attimo di riposo. Non è la prima volta che Gesù si serve della realtà triste e brutale che lo circonda per far cogliere il modo imprevedibile e straordinario dell’agire di Dio. Il Padre non è un padrone e noi non siamo schiavi di nessuno. Gesù intende contestare alla radice una visione “contrattuale” del rapporto con Dio. Lo schiavo serve il padrone per ricevere la ricompensa: non deve essere questo lo schema della nostra religiosità. La parabola serve per far capire che con l’arrivo del Regno, cioè di Gesù, la fede va vissuta in modo diverso e il criterio non può essere quello “mercantile” del merito, ma quello libero e affettuoso della gratuità. Il cristiano deve passare dal “servirsi” di Dio al servire Dio con gioia. Non basta una fede qualsiasi per essere cristiani; è necessario che la fede costruisca con il Padre un rapporto che assomigli il più possibile a quello che Gesù ha con lui.
2. «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare». Depurata da una falsa e poco dignitosa forma di umiltà, questa consegna secca e conclusiva di ogni azione ispirata al Vangelo dev’essere il criterio che regola i rapporti all’interno della comunità cristiana. La sfida che oggi attende i cristiani è il modo di vivere la Chiesa: il suo mistero divino-umano deve “prendere corpo” nel cuore di ogni cristiano. Far rinascere la Chiesa signica scoprire che nelle comunità cristiane l’unico stile ammesso è quello del servizio. Non è una cosa semplice perché la tendenza (o tentazione?) istintiva è quella di imitare il mondo, dove spesso i ruoli diventano un titolo di prestigio e privilegio (e di guadagno).
Il Concilio ha presentato un’immagine di Chiesa in cui tutti i battezzati hanno uguale dignità nella comunità; la diversità incomincia con i compiti diversi, ma questi non devono mai diventare potere di qualcuno su qualcun altro, ma devono restare, come chiede Gesù, servizi offerti con semplicità e mitezza. Ognuno di noi è attratto dal potere e dai suoi simboli; rischiamo spesso di apparire patetici e anche ridicoli. Gesù, prendendo spunto dalla schiavitù e ribaltandola, ci insegna che siamo tutti semplici e poveri servi di Dio prima di tutto, e di conseguenza, delle sorelle e dei fratelli.
Commento di don Luigi Galli



