La domenica “del cieco” vede la proclamazione quasi integrale di uno dei capitoli più suggestivi del quarto Vangelo, che tra l’altro segue immediatamente la pagina del Vangelo di domenica scorsa: Gesù era minacciato di morte da chi voleva lapidarlo perché si era detto prima di Abramo, esce dal tempio di Gerusalemme, e “passando” vede un uomo. Non ha un nome, e per questo diventa un “modello” rappresentativo in cui tutti si possono identificare, meditando la pagina che è un punto fermo nel cammino quaresimale. L’aff„ermazione del cieco nato, apice della sua scoperta, «Credo, Signore!» costituisce infatti il culmine del rito del Battesimo, e lo è anche nella Rinnovazione delle promesse battesimali durante la celebrazione della Veglia pasquale. Per questa ragione l’episodio è stato interpretato dall’antichità in chiave sacramentale, come già faceva Tertulliano, che in un trattato sul Battesimo scriveva: «La presente opera parla del sacramento dell’acqua che lava via i peccati della nostra cecità originale e ci fa liberi per la vita eterna».

Tra le tante possibili letture scegliamo ora tre temi, dei quali il primo riguarda la rivelazione e il giudizio. La rivelazione è l’opera principale di Gesù nel vangelo di Giovanni, e per questo Gesù si de­finisce qui «la luce del mondo» (9,5); se la luce brilla per davvero, non può che rivelare la realtà, mostrarla a chi non la vedeva prima (come il cieco nato), o a chi pur vedendola, ora può coglierla con occhi aperti dalla fede. La rivelazione è quella del Padre, che ha mandato il suo Figlio per dare luce al mondo. Ma la rivelazione, la luce, comporta inevitabilmente un giudizio: ciò che è nascosto, rimane occultato senza luce, ma quando la luce risplende, tutto è chiaro. Così sono svelati i cuori degli uomini, compresi quelli di «alcuni» dei farisei (e quindi non “tutti”: 9,40), dei quali è mostrato il peccato che li abita.

Infatti il tema del peccato occupa gran parte del brano: questo però non si trova lì dove si pensa. Facile credere – come fanno anche i discepoli (9,2) – che il peccato porti con sé una conseguenza subito evidente, come quella di una malattia o della cecità, magari nella generazione seguente a chi l’ha compiuto. Ma il peccato si annida invece dove è diŸfficile scovarlo, lavora lontano da ogni visibilità, scava un suo spazio proprio in chi crede di esserne immune: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane» (9,41). Ma la trama principale del brano è forse quella della scoperta di chi è Gesù, proprio come era accaduto alla Samaritana. Il cieco guarito solo progressivamente cresce nella comprensione della realtà e di colui che questa realtà ha svelato. All’inizio pensa a Gesù come a «un uomo», ma del quale non sa nulla; poi però lo dichiara un «profeta», poi ancora un «inviato di Dio», e in­ne lo riconosce come «Figlio dell’uomo» e «Signore». Preghiamo perché anche chi ha avuto in dono la vista possa un giorno vedere il suo volto e rivolgersi a lui con le stesse parole.