Il cielo abitato dalla nostra umanità
«Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo […] poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio» Luca 24,51-53
La pagina del Vangelo di questa solennità ha parecchi punti in comune con la prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli. L’Ascensione, dunque, se da una parte indica la chiusura della vita pubblica di Gesù, dall’altra evidenzia una sua presenza più profonda nella vita dei discepoli, tanto da essere l’inizio, quasi il fondamento, di tutta la storia seguente della Chiesa. Nei Prefazi dell’Ascensione si sottolinea fortemente la dimensione salvifica di questo evento: «Ci ha preceduti nella dimora eterna… sotto i loro sguardi salì al cielo, perché noi fossimo partecipi della sua vita divina ». Non si tratta quindi solo di contemplare la gloria ineffabile del Risorto, ma anche di vedere il riflesso di questa gloria nella nostra stessa vita; l’itinerario che Gesù ha percorso vuol diventare speranza viva per l’itinerario che noi siamo chiamati a percorrere.
La pagina del Vangelo è esplicita: all’ascensione di Gesù fanno seguito il dono dello Spirito, la predicazione del Vangelo, la remissione dei peccati. C’è un rapporto di causalità che unisce tutti questi eventi: Gesù è glorificato ed è dunque possibile annunciare il Vangelo di Dio nel suo nome; Gesù ha vinto il peccato e la morte così che è a disposizione degli uomini il perdono di Dio; Gesù è ora alla destra del Padre e può comunicare agli uomini lo Spirito stesso di Dio.
È questo il significato dell’ultima scena del Vangelo: Gesù benedice i suoi discepoli nel momento stesso in cui si stacca da loro e viene portato in cielo. Diventa possibile ai discepoli, ora, vivere in «una grande gioia»: è la gioia messianica, annunciata dagli angeli (cfr. Luca 2,10), che incomincia a espandersi. «E stavano sempre nel tempio, lodando Dio». Facile da capire: dove Dio agisce e salva, gli uomini devono rispondere lodando e ringraziando; in Gesù, Dio ha agito vincendo la morte; è quindi giusto che i credenti rendano grazie a Lui sempre e in ogni modo
Questo ci fa comprendere il senso dell’Ascensione: non si tratta di speculare su dislocazioni spaziali, ma di capire correttamente il valore salvifico della Pasqua. Valore salvifico per Gesù perché lo colloca definitivamente nella gloria del Padre; valore salvifico per noi perché Gesù entra nella gloria divina con la sua umanità che è la nostra stessa umanità. In questo modo la natura umana, di per sé fragile e sottomessa alla corruzione, è diventata partecipe della incorruttibilità divina. Il Cristo risorto non muore più. C’è quindi un frammento della nostra umanità che è sfuggito per sempre alla presa del mondo e alla sua minaccia di morte; e questo fatto diventa fondamento di speranza per l’umanità intera.
Di qui il legame strettissimo che Luca sottolinea nel Vangelo e negli Atti degli Apostoli tra Ascensione, Pentecoste e Parusia: l’Ascensione prepara la seconda venuta di Gesù, quella in cui la morte sarà vinta non solo per lui ma per tutti gli uomini; e il tempo intermedio, lungi dall’essere un tempo vuoto, di pura attesa, sarà colmato dal dono dello Spirito in modo da diventare esperienza iniziale di salvezza.
Per questo possiamo pregare: «Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre… poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo nostro capo nella gloria».


