Solo i poveri sanno veramente amare

Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Luca 10,33

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico », dice Gesù nel Vangelo. Un uomo qualunque, senza volto né nome. Arrivano il sacerdote e il levita, uomini religiosi, ma con lo sguardo distratto, rapito da altro. Poi passa lo straniero: un Samaritano. E si ferma, si china… Carica sull’asino. Accompagna. Paga. Una gestualità semplice, ma piena. Un sacerdote e un levita, ossessionati da un comandamento che proibiva di rendersi impuri con il contatto del sangue prima di un sacrificio, dimenticano l’impegno fondamentale della carità e si allontanano dall’uomo seviziato dai briganti. Un Samaritano, un uomo che i Giudei consideravano “senza legge”, nonostante l’antagonismo regionale e religioso, aiuta il proprio avversario perché riprenda la forza e viva.

Il sacerdote e il levita, rappresentanti ufficiali dell’amore di Dio nella struttura religiosa israelita, sono espressione di un culto arido, non innervato nell’esistenza. Il Samaritano, “razza dannata” ed eterodossa, è trasformato in modello di vita secondo la legge dell’amore.

Il rapporto strettissimo tra il buon Samaritano e Gesù è rivelato da un verbo che nella parabola introduce i gesti di pietà compiuti dal Samaritano: «Ebbe compassione ». È lo stesso verbo che più volte capita di incontrare nei Vangeli quando Gesù si trova davanti a creature infelici che invocano una salvezza. Il buon Samaritano è dunque Gesù stesso. È lui il divino straniero che durante il suo viaggio terreno ha avuto compassione di noi. In quell’uomo ferito e abbandonato sul ciglio della strada mezzo morto siamo rappresentati proprio noi: è la nostra umanità ferita soprattutto dal peccato, incapace di salvarsi da sola.

Il Cristo si è fatto carico della nostra umanità, ma non ci ha portato a piena guarigione, ci ha portati in un albergo in cui ci affida a qualcuno che si prenda cura di noi. È la Chiesa questo luogo che accoglie tutta l’umanità, aperta e disponibile per ospitare l’umanità ferita e continuare l’opera di cura iniziata dal Cristo. L’albergatore è figura di ciascuno di noi, a cui Cristo dice: «Prenditi cura dell’umanità. Io l’ho salvata, ma non è ancora guarita: la porto da te perché tu te ne prenda cura». Il Samaritano tira fuori due denari e li consegna… due denari. Richiamano i due precetti fondamentali, i due precetti dell’amore: «Amerai il Signore tuo Dio, amerai il tuo prossimo». «Usali» – ci dice – «spendili questi denari!».

Ecco che cosa significa per Gesù amare concretamente: è dare all’altro parte del proprio tempo e del proprio avvenire. È chiaro che questa pietà è possibile solo a coloro che conoscono la sofferenza per averla personalmente provata. È stata possibile al Samaritano del Vangelo perché, essendo nella società di quel tempo un emarginato, portava nel cuore una ferita che lo rendeva sensibile a ogni miseria.

Solo i poveri sanno veramente amare. I ricchi possono fare elemosine anche generose, ma normalmente non sanno che cosa significhi essere buoni samaritani. A meno che, meditando su questa pagina del Vangelo, si lascino conquistare dall’immagine del buon Samaritano che rimanda all’immagine di Cristo, il buon Samaritano che è sempre pronto a curvarsi sulle nostre ferite con gesti di grande tenerezza e di dolcissima pietà.