Seguire Gesù: una libertà che trasforma

Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo Luca 14,27

 

Durante il suo cammino verso Gerusalemme, Gesù vede che una folla numerosa lo segue. Non si lascia sedurre dall’entusiasmo del momento, ma coglie l’occasione per una catechesi forte e provocatoria, incentrata sulla decisione, sulla sapienza e sulla necessità di scegliere bene.

L’evangelista Luca è molto preciso nell’elencare i legami da cui è necessario distaccarsi: padre, madre, moglie, figli, fratelli, sorelle, perfino la propria vita. Si tratta di un elenco intenso, volutamente provocatorio. Luca, a differenza di Matteo (cfr. Matteo 10,37), non attenua l’espressione: conserva il verbo “odiare”, nella sua forma paradossale. È evidente, tuttavia, che il senso non è quello letterale: non si tratta di odiare, ma di preferire Cristo a tutto e a tutti, di stabilire una gerarchia affettiva in cui il Regno ha il primo posto. Luca intende sottolineare così quanto radicale e concreto debba essere il distacco: non solo affettivo, ma esistenziale, interiore. La sequela chiede libertà profonda.

Il riferimento alla croce chiarisce fino a che punto deve giungere la disponibilità del discepolo: seguire Gesù significa accettare il sacrificio reale e totale di sé. Non si tratta di idealismi spirituali, ma di una disposizione concreta a donare la vita, come ha fatto lui. La croce, infatti, è il segno più alto della libertà e dell’amore: è lì che la sequela si compie pienamente.

Per sottolineare quanto sia seria questa scelta, Gesù racconta due brevi parabole in cui i protagonisti cambiano progetto dopo una riflessione attenta. La prima è quella di un uomo che vuole costruire una torre. Inizia a porre le fondamenta, ma poi si ferma, calcola la spesa, e si rende conto di non avere i mezzi per concludere l’opera. Così decide di interrompere i lavori per non essere deriso. Gesù mette in guardia dal rischio di cominciare senza aver valutato bene, senza aver misurato il costo della scelta. La seconda parabola racconta di un re che, prima di andare in guerra, si siede e riflette. Valuta le forze in campo, comprende di essere in svantaggio, e decide di inviare un’ambasceria per chiedere la pace. Anche qui, il discernimento e la capacità di rivedere i propri piani diventano segni di vera sapienza.

In entrambe le parabole Gesù esalta la capacità di fermarsi, pensare, valutare, non lasciandosi trascinare dall’impulso o dall’abitudine. La sequela non è improvvisazione emotiva, ma una scelta ponderata, libera e consapevole, che comporta sacrificio e realismo. Anche nella nostra vita, spesso ci lasciamo guidare dall’abitudine: facciamo le cose per inerzia, senza più domandarci il “perché”, senza interrogarci sul senso. Ma il Vangelo ci invita a sederci, riflettere, confrontarci con Gesù, ad accogliere la sua sapienza e a lasciarci mettere in discussione.

Le due parabole ci parlano di conversione: entrambi i personaggi cambiano i loro piani. Forse anche noi siamo chiamati a rivedere le nostre scelte, a domandarci: stiamo davvero seguendo il Signore? Oppure stiamo portando avanti un progetto tutto nostro, come chi costruisce una torre senza calcolare la spesa? Solo chi ha il coraggio di interrogarsi e la libertà di lasciarsi guidare da Cristo potrà costruire un progetto solido che conduce alla vita piena.