Coltivare la vigna, dare vino alla festa

 

E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi?». Matteo 21,42

 

Continua ad accompagnarci il simbolo scritturistico della «vigna del Signore», che è «la casa di Israele, sua piantagione preferita» (I lettura, Isaia 5), da Lui «sradicata dall’Egitto e trapiantata fino al mare e al fiume» (Salmo 79, Responsorio): eppure essa non «ha prodotto uva, ma acini acerbi» e «la devasta il cinghiale del bosco». Anche il Vangelo ricorre a questa immagine fondativa nella parabola dei vignaioli omicidi, ove si individua un richiamo al sacrificio del Figlio, espressione della misericordia e della pazienza del Padre verso un popolo di dura cervice (Esodo 32,9), che non ascolta e maltratta i profeti (cfr. Matteo 23,37; Lc 13,34) e che meriterebbe, per il suo comportamento ostinato, quanto è detto nella chiosa finale, presente in Matteo e in Luca, ma non in Marco, considerato il testimone più antico tra i sinottici.

È descritto qui l’amore senza misura del Signore, la cui «pace, che supera ogni intelligenza, custodisce i nostri cuori e le nostre menti» indipendentemente da ogni nostra infedeltà (II lettura, Filippesi 4): ciascuno è chiamato a lavorare nella Vigna per farla fruttificare, sapendo che i frutti sono di Dio. Il racconto ricalca la I lettura, che insiste sull’amorevolezza del padrone del fondo e sulla sua attività volta a migliorarlo, ripagata in modo deludente. Lo stesso succede al protagonista della parabola, la cui sollecitudine verso la vigna è sottolineata con cinque verbi (Matteo 21,33; cfr. Isaia 5,2): il bene che viene affidato ai coloni è dunque prezioso, il padrone lo ha curato e reso bellissimo, i contadini possono goderne mentre lo coltivano. Essi però mostrano ingratitudine verso il proprietario di quel bene, che ha dato loro la possibilità di vivere dignitosamente. Ciascuno di noi è il vignaiolo che riceve da Dio, padrone di ogni cosa, la Vigna da coltivare: si tratta, per ognuno, del suo contesto particolare; per i coniugi è il bene del matrimonio, che Dio ha fatto bello e buono e che ha affidato a loro perché lo curino facendo splendere in esso l’amore di Cristo per la Chiesa.

I frutti di quel bene (l’amore, l’unità, l’essere famiglia) non appartengono ai coniugi, ma essi ne ricevono gioia, riconoscendo che tutto è di Dio e praticando il perdono e la perseveranza, per non dissipare quanto ricevuto e non rischiare così di perdere anche il Regno. Dio stesso mostra come si coltiva con amore la Vigna: di fronte all’ingratitudine e alla malvagità dei coloni non smette di inviare i suoi messaggeri, espressione della sua pazienza e del suo perdono, perché i coloni si ravvedano; trova strade e persone nuove per soccorrere coloro ai quali ha affidato la Sua Vigna e non tiene conto del male che essi hanno compiuto, mantenendo inalterata la fiducia nella loro conversione. Lo stesso siamo chiamati a fare noi, nella nostra vita e nelle relazioni: cercare vie di riconciliazione e di riabilitazione dell’altro, fino all’estremo sacrificio, sul modello del Figlio, «pietra scartata dai costruttori e divenuta pietra angolare», perché il Signore compie meraviglie e chiama ciascuno alla sua festa senza tramonto.