Voli sospesi, aerei bloccati a terra. Siamo all'ennesima battuta d'arresto per i cacciabombardieri d'attacco F-35 della multinazionale statunitense Lockheed Martin. Dopo l'incendio scoppiato il 23 giugno a bordo di uno dei velivoli, durante il decollo dalla base militare di Eglin (Florida), il Pentagono ha deciso di fermare la flotta statunitense, finché non verranno condotte nuove ispezioni. Non è certo la prima volta che il programma militare più costoso della storia rivela la sua natura di “colosso dai piedi d'argilla”. Già nei mesi scorsi, come ammesso dallo stesso Pentagono, erano emersi problemi tecnici di ogni tipo, dalle crepe nella fusoliera ai ritardi di sviluppo del sistema informatico, fino alle perdite d'olio a bordo segnalate da un pilota poche settimane fa.

L'ultimo incidente, più grave dei precedenti, non fa che gettare nuove inquietanti ombre sugli F-35 e sul loro futuro. Ironia della sorte: la notizia dello stop ai voli è arrivata il 4 luglio, Festa dell'Indipendenza, giorno simbolo per il patriottismo statunitense. Annullata anche la partecipazione dei caccia al Farnborough Air Show, la vetrina dell'industria aeronautica internazionale che si tiene ogni due anni in Gran Bretagna. E mentre in America gli aerei si fermano per i dovuti accertamenti, di qua dall'Atlantico cresce il coro del dissenso.

L'Italia, come noto, partecipa al controverso programma Joint Strike Fighter relativo agli F-35, che prevederebbe l'acquisto di 90 cacciabombardieri da parte del nostro Paese, per una spesa complessiva di almeno 14 miliardi di euro (la stima è al ribasso, perché il costo reale continua a lievitare). Tantissime le voci critiche (e non certo solo di pacifisti). Pesano le ragioni etiche (parliamo di mezzi d'attacco, non facilmente conciliabili col «ripudio della guerra» sancito dalla Costituzione), ma anche le considerazioni economiche legate alla crisi e ai tagli preoccupanti che hanno falcidiato istruzione, sanità e terzo settore negli ultimi anni. Viste anche le crescenti pressioni dell'opinione pubblica, lo scorso 7 maggio la Commissione Difesa della Camera ha approvato un documento proposto dal Pd che prevede fin d'ora la sospensione di nuovi acquisti, col proposito di arrivare, nel tempo, a un dimezzamento dell'intero programma.

Ci troviamo insomma in una sorta di “limbo”: tutto dipenderà dalle posizioni che l'Esecutivo e le Camere assumeranno nei prossimi mesi. Uno snodo significativo sarà l'approvazione in Parlamento del Libro Bianco, uno strumento di revisione complessiva del sistema difesa (F-35 compresi). La discussione dovrebbe concludersi entro fine anno. C'è chi vede in questo atto l'occasione per una svolta decisiva e chi teme si tratti dell'ennesimo “passaggio di carte”, magari con qualche piccolo taglio di facciata, ma senza interventi sostanziali. Va detto che una minima riduzione del programma F-35 c'è stata.

Come annunciato ad aprile dal premier Renzi e confermato nel Documento Programmatico Pluriennale pubblicato in questi giorni, il 2014 vede un taglio al comparto difesa di circa 400 milioni di euro, 176 dei quali relativi ai tanto discussi caccia. Rispetto alla vita dell'intero programma la riduzione è irrisoria, perché si aggira intorno all'1%, ma se ci limitiamo a considerare le risorse inizialmente preventivate per l'anno in corso, l'entità del taglio sale al 33% circa. Quanto ai prossimi anni, per il momento parlano i dati, tutt'altro che rassicuranti, delle tabelle previsionali: 644,3 milioni nel 2015 e 735,7 milioni nel 2016. Ma sono cifre su cui è impossibile fare affidamento, date le tante incognite che si profilano all'orizzonte. Tutto può ancora cambiare.