C'è il bambino che mangia solo patatine confezionate, quello che sfascia tutto, quello che non sa stare seduto, quello che si butta per terra tirando calci e pugni contro un nemico invisibile, e quello che sale in cattedra e prende il posto della maestra.

Bambini che sono “bombe” pronte ad esplodere, genitori in difficoltà. «Il mondo è malato, perché sono malati i bambini». Lo dice con rammarico suor Renata Giandesin, coordinatrice generale del Presidio Riabilitativo “Villa Maria” di Vigardolo (Vicenza), un centro per disabilità grave e gravissima, realizzato e gestito dalla congregazione delle suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori.

«Quando il centro è nato, nel 1972», racconta, «c'erano tanti bambini epilettici, altre patologie organiche, ma oggi, con il “grande danno dell'aborto”, queste anomalie si riescono già a cogliere in gravidanza, e di conseguenza i feti vengono eliminati. Ma le psicosi – l’autismo, il ritardo mentale – non le vedi in gravidanza, perciò i bambini nascono. Ed essendo oggi sottoposti fin da piccolissimi a mille stimolazioni, manifestano i primi sintomi già a 18 mesi. I bambini con vulnerabilità psichica, sottoposti a iper stimolazione, si scompensano. La nota positiva è che si può intervenire prima che si strutturi “un Io disturbato”, e questo favorisce il recupero»

-  Qual è il momento più delicato nella sua attività?

«Quando si deve parlare ai genitori; dobbiamo sempre ricordarci che la loro sofferenza è grande. Prima di arrivare qui magari hanno portato il figlio dappertutto, hanno provato qualsiasi strada, a volte sono esausti. Il bambino “che sta nella mente” del genitore non corrisponde al bambino “che sta di fronte” al genitore. Per una mamma e un papà è difficilissima l'accettazione di una diagnosi di psicosi. È come se i desideri, i sogni, le speranze... crollassero. Invece, dobbiamo imparare ad allinearci sul bambino, non allineare lui a noi, alle nostre aspettative. E poi la psicosi è vista ancora come un “babau” delle malattie. Qui va cambiata la cultura sociale. La psiche, così come il fisico, può ammalarsi; è un'evidenza che si tende a ignorare o a escludere. Nella “società dello scarto”, se non produci, purtroppo, non vali. Un altro momento particolarmente difficile per i genitori dei bambini che risiedono continuativamente nel centro, è la separazione, vissuta a volte come uno strappo, e questo nonostante che i bambini rientrino in famiglia ogni fine settimana. Perciò bisogna aiutare anche i genitori. Più loro riescono ad accettare la situazione, più trasmettono sicurezza al figlio». 
 
Il Centro riabilitativo è una struttura sanitaria accreditata dalla Regione Veneto e perciò tutti i servizi erogati sono gratuiti; vi provvede il Servizio Sanitario Regionale. Si accede a seguito di una prima visita, richiesta dal pediatra. 



Il centro accoglie per la riabilitazione 12 minori in residenzialità dal lunedì al venerdì; altri 15 frequentano il centro diurno; gli altri sono tutti ambulatoriali, per un totale di 214. Nel 50% dei casi si tratta di bambini extracomunitari, e quasi tutti maschi; il rapporto maschio/femmina per quanto riguarda la disabilità psichica è 4 a 1.

Mediamente ogni anno si attuano 150 prime visite diagnostiche e 80 visite di controllo. Ogni giorno sono presenti per la riabilitazione mediamente 100 bambini. Vengono dimessi circa 50 bambini l’anno e altrettanti iniziano il cammino riabilitativo. Tra il 2005 e il 2015 circa 800 bambini hanno attuato percorsi riabilitativi nel centro.

A Villa Maria operano 10 suore, tra cui la responsabile del Presidio, sr. Nadilla Baldinazzo, una coordinatrice generale, 3 educatrici madri e un’infermiera; la comunità religiosa con le rimanenti suore permette che le sorelle svolgano il servizio ai minori.

L’organico professionale comprende: 52 dipendenti: 2 neuropsichiatri, uno psicologo, un'assistente sociale, il direttore sanitario (il religioso marianista Stefano Cirelli, responsabile anche del sistema qualità), 7 educatori, 5 logopedisti, 13 terapisti della neuro-psicomotricità dell'età evolutiva , un coordinatore di tutti i professionisti, 5 Oss, 7 personale di supporto, un collaboratore amministrativo e una segretaria. 

La struttura è complessa, perché coniuga due Istituzioni che in età evolutiva si completano: l’Istituzione Sanitaria e quella Scolastica. C'è, infatti, una scuola interna, legata al vicino Istituto comprensivo “Don Bosco”, che persegue un proprio percorso, avendo cura di integrarlo con il progetto riabilitativo. 



-  Quali obiettivi si pone il centro?

«Innanzitutto, portare il bambino all'autonomia. Se il bambino non sa chiedere, non arriva a essere autonomo. A volte significa semplicemente riuscire a mostrare con un gesto quello di cui ha bisogno. Non è un percorso facile, perché il tempo di apprendimento di un bimbo ritardato mentale è molto più lungo rispetto a quello di un normodotato. Il secondo passo è l'autonomia sociale. Il piccolo deve saper stare con gli altri. Ricordo una mamma che mi disse: “Ho raggiunto un traguardo per me impensabile. Vado con mia figlia a mangiare la pizza e lei sa stare seduta. Non mi sento più condizionata”. Per questo, portiamo i bambini al supermercato, al bar, e d'estate, al mare. Devono imparare a stare in un contesto sociale».

-  Suor Renata, lei lavora qui da 22 anni, che cosa prova?

«Continuo a svolgere questo servizio con tanta passione. Io qua dentro sono “papà”, anche perché c'è solo un educatore maschio, con tutte donne. Ma sono anche “nonna”. Il primo feeling i bambini ce l'hanno con me, perché li accolgo già alla prima visita. Poi me li ricordo nel tempo, e questo crea empatia. Il rapporto con loro è bello, molto caldo; ti compensano affettivamente. Non hanno delle cose, ma ne hanno tante altre, capiscono a livello epidermico se tu vuoi loro bene. Ama un bambino e sarai gratificato al cento per cento, indipendentemente dalla fatica».