Nell’Italia infiammata dall’anticiclone Caronte, boccheggiano anche i diritti umani. Al Cie (Centro di identificazione e espulsione) di contrada Milo a Trapani, l’acqua è razionata: soltanto una bottiglia da un litro e mezzo ogni 24 ore, per giunta a temperatura ambiente.
“È amaro, ancora una volta, constatare che le condizioni di restrizione di luoghi come i Cie, che non dovrebbero essere di detenzione, siano di gran lunga peggiori rispetto a quelle delle carceri”. La denuncia arriva da una delegazione dell'Unione Camere Penali, al termine di una visita nella città siciliana.
“La qualità del cibo è pessima", riferisce Diego Tranchida, presidente dell’Unione a Marsala. "Non ci sono psicofarmaci e la sera manca l’assistenza medica. Qui, la vita è disumana, con una persistente violazione della dignità della persona”.
“Alla base di molte disfunzioni", aggiunge, "ci sono le gare d’appalto per la gestione del Cie fatte al ribasso, che consentono a queste cooperative di avere una gestione al limite della decenza”.
Proprio a Trapani, come anche a Modena, nei giorni scorsi ci sono stati scontri, tentativi di fuga e botte tra “ospiti”, come sono chiamati dal Ministero, e poliziotti. L’esasperazione, il senso “di non fare nulla” e la rabbia segnano le vite in queste “carceri per innocenti”.
Luoghi di detenzione, con sbarre alte sette metri e filo spinato, sorvegliati giorno e notte da militari e agenti, dove finiscono 11.000 persone ogni anno, unicamente perché prive del permesso di soggiorno. Lì si vive sospesi: nel 2011, per decisione di Maroni, la detenzione è stata prolungata da un massimo di sei a diciotto mesi. Il 60% dei detenuti non viene identificato né rimpatriato, ma rilasciato ugualmente senza documenti dopo diciotto mesi. Con un anno e mezzo di vita in meno.
A Milo e negli altri Cie d’Italia, sono rinchiusi anche padri di famiglia che hanno perso il lavoro, lavoratrici con accento siciliano, ragazzi e ragazze nati in Italia. Magari dipinti come “diversi”, addirittura “criminali” da quando, nel 2009, è stato introdotto il reato di clandestinità.
Ma i diritti umani boccheggiano anche in altre zone della Sicilia. A Lampedusa, con gli sbarchi di questi giorni, il Centro di primo soccorso e accoglienza ha toccato nuovamente la punta di oltre 1.000 migranti, a fronte di una capienza massima di 250. Tra di loro, ci sono anche un centinaio di minori, molti dei quali arrivati già da oltre due settimane, nonostante il limite fissato dalla legge sia di 48 ore prima del loro trasferimento in strutture d’accoglienza adeguate.
“Le condizioni di promiscuità, sovraffollamento e carenza d’igiene sono molto lontane da quella protezione che il sistema legislativo italiano prevede per questi ragazzi e ragazze”, spiega Federica Giannotta di Terre des Hommes, associazione che ha attivato a giugno un progetto di assistenza psicologica e psicosociale per i minori stranieri non accompagnati e le famiglie con bambini.
Secondo l’Ong, la permanenza protratta ha ricadute importanti sugli adolescenti: “Questi ragazzi hanno operato una rottura molto dolorosa con i loro contesti di provenienza, rischiando la vita pur di poter scegliere del proprio futuro. Hanno un carico di speranze ma anche di doveri verso la propria famiglia, per questo la permanenza prolungata nel centro diventa fonte di angoscia perché alimenta in loro l’idea di fallimento”. Oltre che rendere potenzialmente “emergenziale” una situazione, quella degli sbarchi sulle coste siciliane, che è invece ordinaria, prevedibile e gestibile.
Le condizioni di accoglienza sono critiche anche a Siracusa, nell’ex scuola Umberto I, dove 95 adolescenti vivono in totale promiscuità con donne e uomini, nelle stanze e nei bagni, dormendo a terra su materassi vecchi e non ignifughi.
Qui, e nel resto della Provincia, Emergency ha costituito un ambulatorio per garantire assistenza sanitaria ai migranti che sbarcano ormai quotidianamente: dall’inizio dell’anno, sono oltre 3.000 le persone approdate sulla costa sud-est, in particolare nella zona di Porto Palo e Capo Passero.
C’è anche una buona notizia segnalata dall’Ong: la stretta collaborazione con le autorità locali, il Comune, la Prefettura, la Asl di Siracusa e la Protezione civile di Priolo.
“È amaro, ancora una volta, constatare che le condizioni di restrizione di luoghi come i Cie, che non dovrebbero essere di detenzione, siano di gran lunga peggiori rispetto a quelle delle carceri”. La denuncia arriva da una delegazione dell'Unione Camere Penali, al termine di una visita nella città siciliana.
“La qualità del cibo è pessima", riferisce Diego Tranchida, presidente dell’Unione a Marsala. "Non ci sono psicofarmaci e la sera manca l’assistenza medica. Qui, la vita è disumana, con una persistente violazione della dignità della persona”.
“Alla base di molte disfunzioni", aggiunge, "ci sono le gare d’appalto per la gestione del Cie fatte al ribasso, che consentono a queste cooperative di avere una gestione al limite della decenza”.
Proprio a Trapani, come anche a Modena, nei giorni scorsi ci sono stati scontri, tentativi di fuga e botte tra “ospiti”, come sono chiamati dal Ministero, e poliziotti. L’esasperazione, il senso “di non fare nulla” e la rabbia segnano le vite in queste “carceri per innocenti”.
Luoghi di detenzione, con sbarre alte sette metri e filo spinato, sorvegliati giorno e notte da militari e agenti, dove finiscono 11.000 persone ogni anno, unicamente perché prive del permesso di soggiorno. Lì si vive sospesi: nel 2011, per decisione di Maroni, la detenzione è stata prolungata da un massimo di sei a diciotto mesi. Il 60% dei detenuti non viene identificato né rimpatriato, ma rilasciato ugualmente senza documenti dopo diciotto mesi. Con un anno e mezzo di vita in meno.
A Milo e negli altri Cie d’Italia, sono rinchiusi anche padri di famiglia che hanno perso il lavoro, lavoratrici con accento siciliano, ragazzi e ragazze nati in Italia. Magari dipinti come “diversi”, addirittura “criminali” da quando, nel 2009, è stato introdotto il reato di clandestinità.
Ma i diritti umani boccheggiano anche in altre zone della Sicilia. A Lampedusa, con gli sbarchi di questi giorni, il Centro di primo soccorso e accoglienza ha toccato nuovamente la punta di oltre 1.000 migranti, a fronte di una capienza massima di 250. Tra di loro, ci sono anche un centinaio di minori, molti dei quali arrivati già da oltre due settimane, nonostante il limite fissato dalla legge sia di 48 ore prima del loro trasferimento in strutture d’accoglienza adeguate.
“Le condizioni di promiscuità, sovraffollamento e carenza d’igiene sono molto lontane da quella protezione che il sistema legislativo italiano prevede per questi ragazzi e ragazze”, spiega Federica Giannotta di Terre des Hommes, associazione che ha attivato a giugno un progetto di assistenza psicologica e psicosociale per i minori stranieri non accompagnati e le famiglie con bambini.
Secondo l’Ong, la permanenza protratta ha ricadute importanti sugli adolescenti: “Questi ragazzi hanno operato una rottura molto dolorosa con i loro contesti di provenienza, rischiando la vita pur di poter scegliere del proprio futuro. Hanno un carico di speranze ma anche di doveri verso la propria famiglia, per questo la permanenza prolungata nel centro diventa fonte di angoscia perché alimenta in loro l’idea di fallimento”. Oltre che rendere potenzialmente “emergenziale” una situazione, quella degli sbarchi sulle coste siciliane, che è invece ordinaria, prevedibile e gestibile.
Le condizioni di accoglienza sono critiche anche a Siracusa, nell’ex scuola Umberto I, dove 95 adolescenti vivono in totale promiscuità con donne e uomini, nelle stanze e nei bagni, dormendo a terra su materassi vecchi e non ignifughi.
Qui, e nel resto della Provincia, Emergency ha costituito un ambulatorio per garantire assistenza sanitaria ai migranti che sbarcano ormai quotidianamente: dall’inizio dell’anno, sono oltre 3.000 le persone approdate sulla costa sud-est, in particolare nella zona di Porto Palo e Capo Passero.
C’è anche una buona notizia segnalata dall’Ong: la stretta collaborazione con le autorità locali, il Comune, la Prefettura, la Asl di Siracusa e la Protezione civile di Priolo.


