La notizia ha destato immediatamente scalpore, ha generato un'ondata di proteste delle organizzazioni umanitarie svizzere e internazionali ed è stata ripresa da prestigiose televisioni e testate europee come BBC, El Pais e Suddeutsche Zeitung. Il quotidiano britannico The Indipendent ha titolato: "La Svizzera vara restrizioni simili a quelle dell'apartheid".

Questi i fatti in breve. Il 9 giugno scorso, attraverso un referendum, la Confederazione Elvetica ha approvato un nuovo, ulteriore inasprimento della legge sulla richiesta di asilo. Tra le novità introdotte, la possibilità di utilizzare infrastrutture confederali da adibire a centri di accoglienza. E proprio il nuovo centro di accoglienza di Bremgarten, nel Canton Argovia, è diventato oggetto delle polemiche da quando le autorità locali hanno deciso di bandire dai luoghi pubblici gli ospiti della struttura.

Le autorità confederali hanno inizialmente giustificato la decisione con la volontà di non turbare la popolazione e, allo stesso tempo, evitare contenziosi con le istituzioni locali per la presenza di richiedenti asilo nella propria giurisdizione. Ciò si è tradotto in un divieto evidentemente discriminatorio, che di fatto proibisce ai richiedenti asilo di recarsi in svariati luoghi pubblici come scuole e centri sportivi.

Gerry Simpson di Human Rights Watch ha commentato: "È scioccante che la Svizzera – Paese che ospita le Nazioni Unite e l'UNHCR (Alto commissariato dell'ONU per i rifugiati) – introduca una politica discriminatoria che, di fatto, corrisponde a una segregazione dei richiedenti asilo dalla comunità in cui vivono".

L'OSAR (Organizzazione svizzera di aiuto ai rifugiati), in un comunicato, ha definito insostenibile il divieto sia sotto il profilo giuridico sia sotto quello umanitario. La stessa direttrice dell'UNHCR Susin Park ha sottolineato che un'emarginazione di questa portata compromette la futura integrazione dei richiedenti asilo.

La Svizzera è da tempo al centro di polemiche e critiche, a livello internazionale, per una politica sempre più restrittiva in materia di asilo. Politica che, come detto, lo scorso 9 giugno ha subito un ulteriore giro di vite, in buona parte dovuto all'aumento esponenziale delle richieste di asilo in seguito alle primavere arabe. La nuova legge, infatti, restringe la possibilità di presentare domanda solo ai posti di frontiera e negli aeroporti svizzeri, cancellando la possibilità di fare domanda presso le ambasciate. Inoltre chi nel proprio Paese ha disertato o si è rifiutato di prestare servizio militare non sarà più considerato un rifugiato dalla Confederazione.

Questo episodio non è altro che l'ultimo in ordine di tempo. In Svizzera, come d'altra parte nella maggioranza dei Paesi europei, l'immigrazione è diventato un tema caldo, sul quale spesso e volentieri si gioca il destino politico di un candidato, di un partito o di una coalizione di governo.

La pressione delle comunità locali, che negli ultimi anni hanno di frequente protestato contro la costruzione di nuovi centri d'accoglienza sul proprio territorio, hanno evidentemente condizionato l'operato del Governo, del Parlamento elvetico e dell'UFM (Ufficio federale della migrazione). "Sono necessarie delle regole del gioco", si è giustificato il direttore dell'UFM Mario Gattiker, senza chiarire a quale gioco si stesse riferendo (le domande d'asilo dei rifugiati?) né tanto meno sentendosi in imbarazzo per aver specificato che il divieto non si estende a chiese e biblioteche.

Ma la classe politica, sia essa svizzera, italiana o dell'Unione Europea, in quanto classe dirigente non dovrebbe affrontare il tema dell'immigrazione in un'ottica finalmente globale, anziché affidarsi alla "pancia" degli elettori? È ragionevole a questo proposito attendere proposte concrete anziché risposte demagogiche, che resuscitano fantasmi sudafricani e ricordano la vergogna segregazionista degli Stati Uniti?