Il disastro del Vajont diventa oggetto di un’indagine psicologica e si scopre che, dopo mezzo secolo, sembra proprio che l’onda lunga della frana non si sia ancora ritirata e le ferite siano tutt’altro che richiuse.
E’ quanto emerge dalla tesi di laurea discussa pochi giorni fa di Ilaria Parrotta, studentessa di Psicologia clinica dell’università Cattolica di Milano, che ha realizzato, con la collaborazione del Comitato sopravvissuti del Vajont, un’indagine sulle conseguenze psicologiche e sociali lasciate dal disastro del 1963, che ha spazzato via un intero paese causando 1917 vittime.
A Longarone le case sono state ricostruite, ma non ancora il suo tessuto sociale. A soffrire sono, anzitutto coloro che sono stati colpiti dal disastro, il maggiore mai avvenuto nel nostro Paese causato dalla mano dell’uomo, ma anche il resto della cittadinanza, compresi i più giovani. “Dalle interviste realizzate a una sessantina di longaronesi affiora la percezione comune di una comunità frantumata, caratterizzata da divisioni e conflitti a più livelli”, afferma la neo-dottoressa Parlotti. “Tra coloro che hanno vissuto la tragedia, da una parte c’è chi è fisso con lo sguardo a quella terribile notte, e chi invece desidera solo l’oblio. E poi c’è l’altra frattura: quella che divide i sopravvissuti da chi è venuto dopo il 1963, i cosiddetti ‘autoctoni’ e gli i ‘immigrati’. Come se fossero due cittadinanze diverse”.
“La tesi dimostra che è giunto il tempo di prendersi cura dei legami sociali, intraprendere vie di conciliazione”, spiega il professor Sergio Astori, psichiatra e docente di psicologia alla Cattolica. “Al di là delle celebrazioni dell’anniversario, la vera sfida è quella di facilitare uno scambio intra e inter-generazionale, capace di abbattere i muri divisori ancora alti e creare un collante capace di tenere insieme i diversi pezzi della comunità, attraverso il riconoscimento dell’altro. E le risorse sociali ci sono, a partire dai giovani”, conclude l’autrice del testo.
Sempre in occasione del cinquantenario della tragedia è stato pubblicato anche un altro contributo che fa luce sulle conseguenze psico-sociali di quanto accadde il 9 ottobre del 1963: si intitola “Psicologia dell’emergenza: il caso Vajont”, a cura del Comitato Sopravvissuti. Gli autori Oddone Demichelis, Micaela Coletti e Guido Toffolo raccolgono le testimonianze delle persone che erano a Longarone quella notte di cinquant’anni fa. Alcune di esse sono inedite e rivelano quanto sia stato duro il “dopo-Vajont”. La prefazione è dello scrittore Mauro Corona.
E’ quanto emerge dalla tesi di laurea discussa pochi giorni fa di Ilaria Parrotta, studentessa di Psicologia clinica dell’università Cattolica di Milano, che ha realizzato, con la collaborazione del Comitato sopravvissuti del Vajont, un’indagine sulle conseguenze psicologiche e sociali lasciate dal disastro del 1963, che ha spazzato via un intero paese causando 1917 vittime.
A Longarone le case sono state ricostruite, ma non ancora il suo tessuto sociale. A soffrire sono, anzitutto coloro che sono stati colpiti dal disastro, il maggiore mai avvenuto nel nostro Paese causato dalla mano dell’uomo, ma anche il resto della cittadinanza, compresi i più giovani. “Dalle interviste realizzate a una sessantina di longaronesi affiora la percezione comune di una comunità frantumata, caratterizzata da divisioni e conflitti a più livelli”, afferma la neo-dottoressa Parlotti. “Tra coloro che hanno vissuto la tragedia, da una parte c’è chi è fisso con lo sguardo a quella terribile notte, e chi invece desidera solo l’oblio. E poi c’è l’altra frattura: quella che divide i sopravvissuti da chi è venuto dopo il 1963, i cosiddetti ‘autoctoni’ e gli i ‘immigrati’. Come se fossero due cittadinanze diverse”.
“La tesi dimostra che è giunto il tempo di prendersi cura dei legami sociali, intraprendere vie di conciliazione”, spiega il professor Sergio Astori, psichiatra e docente di psicologia alla Cattolica. “Al di là delle celebrazioni dell’anniversario, la vera sfida è quella di facilitare uno scambio intra e inter-generazionale, capace di abbattere i muri divisori ancora alti e creare un collante capace di tenere insieme i diversi pezzi della comunità, attraverso il riconoscimento dell’altro. E le risorse sociali ci sono, a partire dai giovani”, conclude l’autrice del testo.
Sempre in occasione del cinquantenario della tragedia è stato pubblicato anche un altro contributo che fa luce sulle conseguenze psico-sociali di quanto accadde il 9 ottobre del 1963: si intitola “Psicologia dell’emergenza: il caso Vajont”, a cura del Comitato Sopravvissuti. Gli autori Oddone Demichelis, Micaela Coletti e Guido Toffolo raccolgono le testimonianze delle persone che erano a Longarone quella notte di cinquant’anni fa. Alcune di esse sono inedite e rivelano quanto sia stato duro il “dopo-Vajont”. La prefazione è dello scrittore Mauro Corona.


