Forse non tutto è perso. E in ogni caso la partita vera si gioca dal 2012 in poi. All’alba di domenica 11 dicembre, dopo dodici giorni di negoziati, gli ultimi due passati ininterrottamente al tavolo delle trattative,
la diciassettesima Conferenza sui cambiamenti climatici svoltasi a Durban, in Sudafrica (Cop 17, in sigla), ha trovato un punto di mediazione: il prossimo
anno, dal 26 novembre al 7 dicembre, in Qatar, si procederà alla definizione di un patto
globale da approvare entro il 2015 e che entrerà in vigore a partire
dal 2020. Insomma, solo spostando in là il momento della verità, si è potuto trovare un'intesa. A parole ci guadagnano tutti, tranne - questo è certo - i Paesi poveri e la Terra, che continua ad attendere che qualcuno l'aiuti a respirare.
Con un applauso liberatorio gli esausti delegati rimasti
sino all’ultimo (diversi rappresentanti governativi avevano già
lasciato Durban costretti ad andar via dalla scarsità di posti aerei), hanno
approvato il documento finale presentato dalla presidente della
Conferenza, la ministra per la Cooperazione e lo sviluppo del Sudafrica, la signora Maite Nkoana-Mashabane. Un documento di compromesso per
salvare il salvabile, presentato dalla stessa Nkoana-Mashabane come
“imperfetto”, ma necessario per ridare un filo di speranza e non
chiudere definitivamente il match da anni giocato per giungere ad
un accordo efficace per bloccare le catastrofi naturali indotte dai
repentini cambiamenti climatici degli ultimi decenni e
dall’inquinamento giunto ormai a livelli di insostenibilità.