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mercoledì 22 marzo 2023
 
reportage
 

«Con il Cenacolo Leonardo ci chiede: "Chi è per te Gesù?"»

19/10/2019  In occasione dei 500 anni della morte del grande artista, siamo andati a scoprire "L’Ultima Cena" con una guida d’eccezione, il priore di Santa Maria della Grazie: «Leonardo era un cercatore dubbioso che ha saputo raffigurare in modo magistrale le verità della fede e il dramma del tradimento. Ricordo quella volta che accompagnai Obama…»

Padre Guido Bendinelli, (67 anni), priore del convento domenica di Santa Maria delle Grazie, a Milano, con Michela Palazzo (56), direttrice del Museo del Cenacolo Vinciano, nella sala che custodisce il capolavoro
Padre Guido Bendinelli, (67 anni), priore del convento domenica di Santa Maria delle Grazie, a Milano, con Michela Palazzo (56), direttrice del Museo del Cenacolo Vinciano, nella sala che custodisce il capolavoro

La luce fioca. La sala vuota. È un lunedì e il Cenacolo è chiuso al pubblico. L’impressione è quella di essere catapultati a Gerusalemme ed essere commensali di Cristo nell’Ultima Cena. Merito di Leonardo da Vinci che nello spazio del refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie, su richiesta del duca di Milano Ludovico Sforza, tra il 1494 e il 1498 impagina un campo prospettico profondissimo e rigoroso. Il momento è psicologicamente drammatico: Gesù rivela il tradimento. Allarga le braccia per comunicare le sue intenzioni, argomenta, esorta. Ma vuole anche indicare e isolare il traditore. Tra i dodici apostoli è scompiglio: chi s’interroga, chi si ritrae, chi osserva con indignazione, chi si scandalizza e protesta.

Icona artistica globale, L'Ultima Cena leonardesca, tanto perfetta quanto delicata. È sopravvissuta ai bombardamenti del 1943, a restauri maldestri, all’imperizia dei suoi custodi. Non ai tentativi di imitazione e alle riletture cinematografiche, anche quelle più strampalate ed eccentriche, da Luis Buñuel a Peter Greenway, da Dan Brown fino addirittura a I Simpson e Jesus Christ Superstar. Mai opera fu tanto analizzata, vivisezionata, stigmatizzata: dipinto pop, scomodo modello psicanalitico, oggetto di marketing, simbolo esoterico.

Ogni anno arrivano ad ammirarlo quattrocentotrentamila visitatori: «Le richieste sono molto superiori ma non possiamo andare oltre questi numeri, la fragilità dell’opera non lo consente», dice Michela Palazzo, direttrice del Museo nazionale del Cenacolo Vinciano e storica dell’arte. La macchina dei controlli gira a pieno ritmo: per conservare l’opera al meglio la luce delle finestre è schermata mentre ci sono alcune attrezzature che controllano minuto per minuto la qualità dell’aria, il filtraggio e la temperatura. Perché tanto interesse da rasentare la morbosità? Michela Palazzo prova a spiegare: «L’autore è un artista riconosciuto a livello mondiale. La fama di quest’opera va oltre il significato strettamente religioso. Leonardo con maestria stupefacente raffigura su questa parete i moti dell’anima, il groviglio dei sentimenti, il dramma umano del tradimento. Ad accrescerne la fama c’è anche, paradossalmente, la difficoltà a visitarlo per le esigenze rigorose di conservazione».

Se Michela Palazzo è, per così dire, la custode laica, per conto dello Stato italiano, padre Guido Bendinelli, dal 2015 priore del Convento domenicano di Santa Maria delle Grazie, incarna il nostro cicerone “spirituale” che ci guida alla scoperta di quest’opera che raffigura uno dei momenti centrali del Cristianesimo. «Il significato teologico va oltre le intenzioni dell’autore e la sua fede sulla quale aleggia un gran mistero», spiega il priore, «Leonardo era un agnostico, un cercatore dubbioso non certo un baciapile. Però quando si è trattato di dare espressione ai misteri della fede lo ha fatto in maniera magistrale e con una padronanza di conoscenze forse persino superiore a quella di alcuni teologi suoi contemporanei». Né va dimenticato, aggiunge, che al tramonto del Quattrocento a Milano «Leonardo era l’artista migliore su piazza, quasi un “artistar”, per di più sostenuto da quel Ludovico Sforza alle dipendenze del quale lavorerà, ben remunerato, per diciotto anni».

«È come se il visitatore fosse stanato da Leonardo»

Il Cenacolo è una miniera inesauribile di chicche artistiche e curiosità storiche. Padre Guido vi individua tre grandi temi teologici: «Il primo», racconta, «è quello della decisione personale che ogni credente è chiamato a prendere al cospetto di Gesù Cristo e della sua Parola. Ogni visitatore è per così dire “stanato” da Leonardo. È come se di fronte alle parole storiche del Cristo (“In verità, in verità vi dico, qualcuno di voi mi tradirà”), ogni uomo è chiamato a reagire. L’artista raffigura questa gamma di reazioni attraverso i moti dell’animo dei dodici apostoli, la loro postura e soprattutto la gestualità delle mani ora stizzita, ora nervosa, ora impaurita e che è un tratto caratteristico d’italianità». Non a caso Goethe, in un delizioso pamphlet del 1817, scrive che «un grande espediente di cui Leonardo si è principalmente servito per animare questo dipinto è il movimento delle mani, al quale però soltanto un italiano poteva ricorrere».

Il secondo aspetto sottolineato da padre Guido è «l’applicazione rigorosa della prospettiva» che lungi dall’essere solo un espediente tecnico ha invece un profondo significato religioso: «L’uso della prospettiva», spiega, «è funzionale a far sì che tutto converga nella figura di Gesù che si staglia al centro della tavola. È quella che i padri della Chiesa e San Paolo chiamano la “ricapitolazione in Cristo di tutte le cose”, ossia la riassunzione di tutta la vicenda umana nell’unico Capo e Maestro in grado di redimere la nostra umanità».

Infine, padre Guido vede nel Cenacolo «un memoriale riattualizzato dell’Ultima Cena». Con questo capolavoro, spiega, Leonardo «rese i frati domenicani che qui mangiavano in quello che era l’antico refettorio del nostro convento commensali di Cristo e suoi contemporanei. Anche oggi ci fa entrare nella scena del Cenacolo e diventare attori insieme ai Dodici che furono i protagonisti storici accanto a Gesù».

Un particolare de "L’Ultima Cena", realizzata da Leonardo da Vinci tra il 1494 e il 1498 sulla parete nord del Refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie di Milano. È un dipinto murale a tempera grassa di dimensioni cospicue (460 centimetri per 880), che fu commissionato all’artista da Ludovico Sforza (foto Ansa)
Un particolare de "L’Ultima Cena", realizzata da Leonardo da Vinci tra il 1494 e il 1498 sulla parete nord del Refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie di Milano. È un dipinto murale a tempera grassa di dimensioni cospicue (460 centimetri per 880), che fu commissionato all’artista da Ludovico Sforza (foto Ansa)

I significati esoterici un altro segreto del successo

  

Basta alzare lo sguardo per scorgere l’abbondanza di oggetti degni di studio per gli storici dell’arte e non solo: pani, coltelli, bicchieri, la tovaglia che sembra appena stirata, lo sfondo tipicamente leonardesco che rimanda alle grandi riproduzioni della natura, le vesti degli apostoli. Tutti dettagli che offrono interessanti ragguagli sulla vita del tempo. Si racconta, ad esempio, che durante la fase di preparazione, l'artista preparò decine di pietanze prima di scegliere quelle da dipingere davanti al Cristo e ai dodici discepoli, tanto da cucinare più e più volte i tranci di anguilla in agrodolce (arrostita e poi marinata in succo d’arancia e melograno) prima di rappresentarli sulla parete di Santa Marie delle Grazie. L’anguilla secondo la storica dell’arte Mariella Carrossino fu scelta perché simbolicamente considerata «misto tra serpente e pesce, segno di vitalità e forza creativa, che preannuncia una grande trasformazione spirituale».

«Non mi sono mai interessato ai significati esoterici o nascosti», sorride padre Guido. Veri o presunti che siano, costituiscono un altro prolifico filone del grande successo di quest’opera. Come il ritratto di Giovanni, «il discepolo più amato», quasi effemminato e con il capo reclino, spesso sulla spalla di Cristo. Da qui l’ardita interpretazione di Dan Brown di identificarlo con la Maddalena.

Il misterioso e inesauribile fascino del Cenacolo provoca non di rado veri e propri casi di trasporto spirituale: «Mi è capitato con qualche persona che ho accompagnato», conferma padre Guido che nel 2017 fece da cicerone a Barack Obama in visita a Milano: «Restò molto colpito perché questo dipinto ti spinge a entrare in scena». Tra i visitatori vip anche il re dei paesi Bassi Guglielmo Alessandro e consorte e il fratello dell’imperatore giapponese Ahikito. A tutti il priore delle Grazie ripete che senza conoscere i racconti evangelici e un po’ di teologia «si resta alla soglia, alla superficie del mistero». Quello che Leonardo, forse al di là delle sue stesse intenzioni, ha saputo alimentare per secoli.

 
 
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