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domenica 06 ottobre 2024
 
La comunità ucraina di Milano
 
Credere

Così aiutiamo le nostre famiglie in guerra

17/03/2022  Pur travolte dall’angoscia, Marika, Nataliya e Mariana pregano e raccolgono viveri e medicine da mandare in patria: «Grazie agli italiani che ci stanno aiutando. I cuori si sono aperti, dobbiamo restare uniti»

Quando incontro a Milano la mia amica Marika, in Ucraina sono al decimo giorno di guerra. Marika non si è mai fermata, durante la pandemia con la sua associazione Rinascita dell’Ucraina è riuscita a realizzare un suo sogno: una scuola al sabato a Milano per bambini ucraini, che aiuti a mantenere vive le loro radici e la loro lingua. È sabato oggi, ma la scuola è quasi deserta. Mentre parliamo il suo telefono continua a vibrare: chi le chiede informazioni, chi un indirizzo a cui far arrivare gli aiuti. Senza sosta. Mi guarda con occhi azzurrissimi e mi dice: «Adesso si sono aperti tanti cuori per l’Ucraina». È stanca e non ha più voce: ieri ha rischiato di perdere il suo lavoro. «Continuava a suonarmi il telefono, non riuscivo a lavorare».

FAMIGLIE DIVISE

Sono diciott’anni che Marika è in Italia, la sua casa è vicino a Ternopil’, nell’Ucraina occidentale: «All’inizio uno si dice: è per poco tempo, poi non si riesce più a tornare. I miei due figli sono a Chicago con le famiglie ma in Ucraina ho tanti parenti. Parlo ogni giorno con mia cugina di Ternopil’, lavora in una grande panetteria che è rimasta chiusa per giorni. Ha una figlia che è scappata da Kiev con il bambino piccolo insieme a un’altra famiglia, che aveva appena comprato la casa con il mutuo, ma la casa ora è distrutta. E molto probabilmente lei stessa non ha più la casa. Anche nel mio paese la sera c’è il coprifuoco: ogni ora suonano le sirene e si rifugiano tutti nella cantina, per tre, quattro ore, ma fa freddo, e ci si arrangia come si può. Ho detto “venite da me, vi posso ospitare”, ma hanno paura: tanti sono stati uccisi mentre Scappavano. La famiglia di una mia parente è arrivata a Milano con i bambini piccoli: sono scappati da Irpin, vicino a Kiev: lì non c’è più nulla, è tutto bombardato. Molti pensano: se si ferma il conflitto tutti possono tornare a casa, ma non si pensa che le case non ci sono più».

L'INCUBO DELLE BOMBE

Nataliya si siede vicino a me e Marika: ha appena finito la sua ora con i bambini. Ha gli occhi cerchiati, non dorme da giorni: «Arrivo da un paese vicino ai Carpazi, a occidente: per ora lì è stato bombardato solo l’aeroporto di Ivano-Frankivs’k. Ci sono i miei parenti là: mio fratello, i miei cugini. I bambini più piccoli non capiscono, ma i più grandi hanno gli incubi, e non riescono a dormire. Di sera c’è buio totale e silenzio ed è una cosa angosciante. Ho delle sorelle che vivono in Russia a San Pietroburgo dall’età di quindici anni, erano andate lì a studiare. Hanno tanti amici russi che le sostengono, sanno da che parte sta la verità ma anche lì la situazione è difficile: non c’è più Facebook né Telegram, è vietato parlare di guerra, rischi l’arresto». Nataliya vive a Cinisello Balsamo da quasi 15 anni, ha iniziato come badante e intanto si è laureata in Lingue; si sta specializzando e lavora come mediatrice culturale e traduttrice. «Mio fratello e i nipoti maschi non possono muoversi: dai diciotto ai sessant’anni devi esser pronto a combattere. Mi dicono che confidano in Dio: accettano la propria sorte. Come sorella mi si strappa il cuore. Di notte ho gli incubi, ho sognato il mio paese e la mia scuola, ero in cantina, c’erano i bombardamenti e mi sentivo soffocare. Qui ci sosteniamo tra noi: il primo giorno era una disperazione totale, mi sembrava di vivere una situazione surreale, non mi capacitavo che potesse accadere una cosa simile. Poi mi sono detta: no, bisogna reagire e aver fiducia. La preghiera aiuta, personalmente prego tanto: oggi ho parlato con mia cugina e mi raccontava che tutti giorni nel mio paese le persone vanno in chiesa. Tutti i giorni ci sono Messe per la pace. È tutto quello che possono fare».

L SOLIDARIETÀ DEL PAESE

Mariana arriva di corsa. Sembra una ragazzina ma ha 28 anni: è lei che coordina gli insegnanti e si relaziona con i genitori della scuola di Milano. Il marito, con lei in Italia, sta andando avanti e indietro con un pulmino carico di aiuti fino al confine: arriva all’alba, dorme qualche ora e poi riparte. «Abito in zona Baggio da quasi cinque anni. Sono insegnante di musica, ma qui il diploma non è riconosciuto, e sto studiando. Faccio altri lavori, come tutti. Cerchiamo di aiutare da qua: raccogliamo cibo, coperte, pannolini, medicinali e poi li portiamo al Consolato. Ho chiesto nel mio quartiere se qualcuno voleva dare una mano: dopo appena un giorno, tornando a casa, ho trovato tutto il cortile del mio condominio zeppo di pacchi, non riuscivo neppure a passare, mi sono messa a piangere, i miei vicini mi hanno abbracciato forte. Mia mamma è qui da un mese e mezzo: ero stata operata e avevo bisogno; ho un bambino di tre anni. Ora è bloccata qui mentre papà è in Ucraina, come mio fratello e mia sorella. Abbiamo detto di venire da noi ma non vogliono lasciare il Paese. I primi giorni mi sentivo male: la testa sembrava imbottita di ovatta, come se non riuscissi a svegliarmi. Cerco di essere impegnata il più possibile e non guardo troppo i telegiornali». Nataliya mi ricorda la poesia di Gianni Rodari sulla luna di Kiev: «La luna è uguale e il sangue è uguale: ringrazio tutti gli italiani che ci chiedono cosa possono fare. I cuori si sono aperti. Non va bene stare da soli: appena sono arrivata ho abbracciato Marika e Mariana, non possiamo permettere di farci abbattere, dobbiamo restare unite».

 
 
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