Forse siamo ancora troppo presi dal dibattito politico, ideologico e parlamentare perché possiamo affrontare con lucida consapevolezza il nodo del contendere. E tuttavia è urgente e necessario muovere in questa prospettiva. Il ddl Zan si apre (o si apriva) con un glossario particolarmente significativo a riguardo, in modo da non generare equivoci linguistici: «a) per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico; b) per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso; c) per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi; d) per identità̀ di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dal- l’aver concluso un percorso di transizione».
E proprio a proposito della quarta definizione si apre un abisso antropologico, filosofico e teologico fra quanti ritengono che l’identità di genere si debba assumere come criterio legislativo e quanti invece vi si oppongono. Una volta stabilito che la violenza va perseguita e costituisce reato soprattutto se perpetrata a danno di chi appartiene a una minoranza o si trova in situazione di fragilità, la questione riguarda l’essere umano, le sue origini e il suo destino. Chi, come il sottoscritto, pensa che il punto d rappresenti una reale e non surrettizia criticità della proposta di legge, muove in una prospettiva di realismo, secondo la quale c’è qualcosa che ci precede e ci seguirà, per cui ad esempio non abbiamo deciso se, come e quando esistere, eppure esistiamo e viviamo e siamo chiamati, qualora non lo fossimo, a riconciliarci con la nostra esistenza. Questo vogliamo dire quando affermiamo che la vita è “dono” da raccogliere e da offrire. E della vita fa parte il “sesso” (punto a delle definizioni). Il sesso è dono! Forse non sempre lo abbiamo insegnato e percepito così nella forma del cattolicesimo convenzionale, ma è difficile sostenere il contrario. Le scelte soggettive e individuali vanno collocate in questo orizzonte di senso della vita e della morte.
E proprio in questa prospettiva so di non poter “restituire il biglietto d’ingresso nell’esistenza”, per dirla con Ivan Karamazov, ovvero di non poter autosopprimermi, né intervenire su ciò che mi è stato donato. Del resto, perché in campo scientifico siamo sempre più orientati a riconoscere la dignità del “dato” e al contrario intendiamo stravolgere questo primato nell’esistenza concreta? Inoltre, quando una teoria è contraddetta dai dati, nelle scienze empiriche bisogna rivedere la teoria, visto che non si può manipolare il dato. In un caso e nell’altro è fondamentale il rispetto della vita delle persone e della loro incolumità, anche se abbracciano una teoria diversa dalla nostra. La fede cristiana non mortifica, ma vivifica, anche se non sempre è stata annunciata e percepita così nel nostro vecchio continente. E proprio per questo sono portato a ritenere che al Senato mercoledì 27 ottobre non abbia vinto nessuno: non l’amore per la vita e il sesso come dono, in quanto rappresentato anche da gruppi sovranisti e inclini ai respingimenti, non il rispetto delle persone, che avrebbe meritato una legge contro la violenza omofobica tale da salvaguardarne la dignità.
In prospettiva andrebbe proseguito un dibattito che auguriamo fecondo sull’umano e il suo destino, così come implicato nelle proposte legislative che chiamano in causa la vita e la sua origine, la morte e il nostro destino, il sesso e la nostra esistenza. L’oltre-uomo non può essere contro l’umano e la partecipazione alla vita divina che, nella visione cristiana, rappresenta il fine da perseguire, di fatto custodisce e avvolge con la sua proposta di senso l’essere umano che, prima di poter scegliere e decidere è offerto e donato come un unicum nel creato e nella società. Non si tratta di essere né di destra né di sinistra per comprendere la portata del sesso come dono e la necessità di lavorare perché possiamo riconciliarci con questa, a tratti spaventosa, realtà. È altresì probabile che la visione cristiana in tal senso possa essere condivisa da altre prospettive religiose, ma anche da chi, pur non ritenendosi credente, guarda all’esistenza come dono e promessa e non come a oggetto manipolabile in balia di una tecnica, in cui si esprime la volontà di potenza del nihilismo.