Da Il Cairo
Mucchi di pietre ovunque, bossoli e bottiglie molotov esplose, barricate di cemento e filo spinato. Baghdad street è il teatro di una guerra, all'indomani dei cruenti scontri tra i sostenitori e gli oppositori del presidente Mohammed Morsi, che hanno provocato almeno 5 morti e oltre 300 feriti. La battaglia è durata un'intera notte, sotto il palazzo presidenziale di Ittahandiya, nel quartiere cairota di Heliopolis. E si teme che non sia ancora conclusa. «Ci eravamo accampati qui per chiedere a Morsi una Costituzione equa e democratica», racconta Ahmed Harb, uno dei migliaia di manifestanti che martedì hanno marciato verso la dimora istituzionale del capo di Stato, costringendolo ad abbandonarla, sotto la scorta della Guardia repubblicana. «Fratelli musulmani e salafiti sono arrivati all’improvviso», dice, «hanno cominciato a strappare le tende e a malmenarci. Poco dopo è iniziato il combattimento».
«Hanno sparato con armi da fuoco di grosso calibro», testimonia Mohammed Ali Saied, uno degli improvvisati infermieri, con le mani ancora imbrattate di sangue. Quando è caduta la prima vittima, la giovane Mirna Emad, lui le era a meno di due passi. «Ho visto ferite orrende provocate da fucili a pallettoni o qualcosa di simile. Non finirà qui». La protesta inizia nel pomeriggio di martedì, quando il corteo del Fronte di salvezza nazionale, che riunisce diciotto movimenti liberali e progressisti, giunge sotto il palazzo che per trent'anni ha ospitato Hosni Mubarak. Decine di migliaia di persone circondano l'edificio. Chiedono a Morsi di ritirare la dichiarazione costituzionale con cui ha esteso i suoi poteri e di congelare il referendum costituzionale del prossimo 15 dicembre. Gridano slogan che ricordano quelli del 25 gennaio 2011: "Il popolo chiede la caduta del regime", "Morsi vattene", "Noi rimaniamo qui, sarai tu ad andartene".
E così accade. La polizia cerca di disperdere il corteo lanciando alcune granate di gas lacrimogeno. Ma la folla rompe il cordone e costringe gli agenti a ritirarsi. Il presidente viene trasferito altrove, all'interno di un mezzo blindato. La situazione precipita ventiquattro ore dopo, quando i sostenitori di Morsi decidono di mettere in scena una contro-manifestazione che, ben presto, si trasforma in una carneficina. «Il punto di non ritorno è stato varcato», dice Ibrahim Ashraf, ventidue anni e una benda a cingergli il capo, «quella di stanotte era una guerra civile».
Gilberto Mastromatteo
Da Il Cairo
Da protettore della rivoluzione di piazza Tahrir a neo
dittatore islamico. Da presidente depotenziato a nuovo faraone. E'
mutata drasticamente, in poco più di 5 mesi, l'immagine di Mohammed
Morsi alla guida della Repubblica araba d'Egitto. Quanto meno agli occhi
del popolo liberal-democratico di piazza Tahrir, che pure aveva scelto
il fratello musulmano, al ballottaggio presidenziale dello scorso
giugno, come estremo argine di fronte a una restaurazione incarnata dal
feldmaresciallo Ahmed Shafiq, ultimo premier dell'era Mubarak.
Sulle
prime, a preoccupare sono gli scarsi poteri del nuovo capo di Stato,
sotto scacco dell'onnipotente Consiglio supremo delle forze armate
(Scaf), in un Paese senza Costituzione e con un Parlamento sciolto dalla
Corte costituzionale. E invece Morsi ribalta il tavolo, ampliando, mese
dopo mese le proprie attribuzioni, a suon di decreti. All'inizio di
agosto, ad essere liquidato è il generale Hussain Tantawi, odiato leader
del Scaf e già ministro della Difesa. Morsi lo decora con il Collare del
Nilo, la più alta onorificenza egiziana, e lo congeda, assieme al capo
di Stato maggiore Sami Hafez Enan e a molti altri generali, ritenuti
intoccabili fino al giorno prima. Quindi dichiara nuovamente in carica il
Parlamento. Ma l’Alta corte lo blocca ancora.
Il 22 novembre, con una
dichiarazione costituzionale, avoca a sé la temporanea "insindacabilità"
da parte del potere giudiziario. E' l'inizio della nuova protesta di
piazza Tahrir. Nel frattempo a preoccupare sono anche i lavori
dell'assemblea costituente. Almeno un quarto dei 100 membri si ritira
dal consesso per protestare contro i principi filo-islamici contenuti
nel testo costituzionale, che viene approvato in largo anticipo rispetto
al previsto, il 30 novembre scorso. In un clima quanto mai teso, si
attende ora l'esito dello storico referendum costituzionale, previsto
per il 15 dicembre. Per molti sarà un referendum su Morsi e sul suo
operato.
Gilberto Mastromatteo
Cautela e diplomazia: l'Unione europea ha scelto un atteggiamento di basso profilo nell'esprimere la sua posizione nei riguardi della nuova bozza di Costituzione egiziana, che dovrebbe essere sottoposta a referendum il 15 dicembre. La situazione al Cairo è estremamente delicata e l'Ue non vuole essere accusata di ingerenza nelle questioni interne del Paese, evitando di sostenere un partito politico o l'altro. «Siamo convinti che adesso la risposta debba essere "più Europa in Egitto", più coinvolgimento, più lavoro per avere più consenso e inclusività», ha dichiarato alcuni giorni fa a Bruxelles Bernardino Leon, rappresentante speciale dell'Ue per il Sud del Mediterraneo.
Tuttavia, l'Europa non risparmia critiche alla proposta di Costituzione, approvata il 30 novembre dall'Assemblea costituente egiziana. Critiche non tanto su ciò che è stato inserito, quanto su ciò che risulta assente: a partire dal pieno riconoscimento dei diritti delle donne e delle minoranze, così come la libertà di stampa e di espressione. Amnesty International è molto più critica: la nuova Carta costituzionale - denuncia l'organizzazione - non difende i diritti umani, ignora i diritti delle donne, prevede che i civili possano essere processati dai tribunali militari, limita la libertà di espressione, riconosce la piena libertà religiosa a islamici, cristiani ed ebrei, ma non tutela le altre minoranze religiose. E ancora, non riconosce la supremazione del diritto internazionale sulle norme interne.
Intanto, in Egitto undici giornali di opposizione e indipendenti hanno indetto una protesta contro il decreto con il quale il presidente Morsi estende i suoi poteri a discapito della magistratura e contro gli articoli della Costituzione che limutano le libertà civili e di stampa. Che fine ha fatto la rivoluzione di piazza Tahrir per la libertà, la democrazia, la giustizia sociale? Dopo la primavera araba, pare che sulla popolazione egiziana sia calato un lungo e gelido inverno.
G.Cer.