Il Rapporto Cisf 2020, La famiglia nella società post-familiare (San Paolo), è stato distribuito a luglio 2020, in quelle che oggi possiamo definire le settimane di tregua estiva dall’emergenza Covid, purtroppo ripresa dal tardo autunno. Così i forti segnali di allarme sullo stato di salute della famiglia italiana che il Rapporto aveva raccolto nei mesi precedenti alla scoppio della pandemia si sono poi assommati all’impatto del lockdown, che ha innescato ulteriori processi di vulnerabilità. Ma proprio il modo in cui quasi tutte le nostre famiglie hanno coraggiosamente attraversato la tempesta socio-economica e relazionale del lockdown ha evidenziato il valore irrinunciabile delle relazioni familiari per proteggere il benessere delle persone e per tutelare il bene comune. La pandemia ha ulteriormente confermato che la famiglia è il primo luogo di custodia e di tutela dell’umano, e insieme una risorsa irrinunciabile di coesione sociale e di responsabilità verso il bene comune: un capitale sociale praticamente impossibile da sostituire.
Purtroppo, però, questo evento ha confermato anche che è difficile uscire da un modello ormai consolidato di relazione tra famiglia e società che costringe le famiglie a badare a sé stesse, a fare i conti essenzialmente sulle proprie forze, vivendo in un contesto sociale, economico e culturale tutt’altro che family friendly (amico della famiglia). Come ricorda Donati nel Rapporto Cisf 2020 (p. 32) questo è «quanto è successo dall’emergere della famiglia autopoietica (Primo Rapporto Cisf, 1989) fino alla liquidazione dei modi tradizionali di vita familiare. Il processo è consistito, e ancora consiste, nel fatto che le famiglie tendono a farsi norma a sé stesse, comportandosi secondo valori e norme fuori del controllo sociale regolato da un ordine pubblico. Lo si può chiamare anche “privatizzazione”, a patto di non considerarlo come una scelta autodiretta delle persone, ma come il prodotto di potenti forze economiche che vengono legittimate da legislazioni e prassi giudiziarie che vanno a rimorchio del mercato».
In particolare, questo potente condizionamento esterno ha reso la famiglia una delle tante scelte possibili, totalmente piegata ai desideri e alle sensazioni dei singoli, rendendone irrilevante il ruolo pubblico. Così la società è sempre più post-familiare, innescando un family warming, un surriscaldamento complessivo delle relazioni familiari, in analogia con il riscaldamento globale dell’ambiente.
Nel merito,sempre con le parole di Donati (pp. 58-59) «la famiglia, in quanto famiglia, è stata abbandonata a sé stessa, per dare spazio a un individuo teso a sperimentare tutte le libertà dei “possibili altrimenti”. [...] Nel frattempo, comunque, la gran parte delle famiglie sperimenterà condizioni frammentate e problematiche di vita. Gli appelli all’altruismo, alla fratellanza, alla comprensione, alla solidarietà, alla responsabilità sono importanti, ma da soli non possono fare molto. Le famiglie come tali dovranno lottare per trovare la loro identità. Dovranno costruire un nuovo ordine familiare, che comunque sarà un ordine costruito sull’orlo del caos».
Questa posizione culturale della società, ostile alle relazioni permanenti e favorevole a legami sempre più fluidi, ha già impattato potentemente sulle scelte familiari delle persone, tanto che:
1) dal punto di vista delle strutture familiari, oltre il 60% delle famiglie è costituita da una o al massimo due persone; diminuiscono costantemente le coppie con figli (e prevale il modello “figlio unico”); aumentano le famiglie con un solo genitore; crescono in modo esponenziale i “nuclei unipersonali”;
2) rispetto al crescente e drammatico crollo della natalità, sono sempre meno numerose le coorti di donne in età feconda, e quindi il tasso di fecondità non può far altro che diminuire di anno in anno. In effetti è improbabile che un numero significativo di donne italiane possa avere almeno tre figli, per far risalire il tasso di natalità fino a 2,1 figli per donna, livello della riproduzione della popolazione (oggi siamo a 1,3);
3) rimane massiccio l’invecchiamento della popolazione italiana, una delle più anziane del mondo. Questo significa aumento relativo delle famiglie di nonni e bisnonni, con molte famiglie di grandi anziani, spesso molto fragili, composte da un solo componente, in maggioranza donne vedove. Di converso, paradossalmente, le generazioni più giovani sono pesantemente penalizzate nei loro progetti di autonomia (compresi i progetti di famiglia).
Su questo scenario si è sovrapposto l’impatto della pandemia, che rischia di diventare un moltiplicatore di differenziali, di fragilità e di disuguaglianze familiari che erano già presenti nel nostro Paese, e che si sommano alle più consolidate (e gravissime) emergenze socio-economiche legate alla crisi economica generata dal lockdown:
a) la cura degli anziani, isolati e spesso vulnerabili proprio a causa della solitudine, non solo nelle Rsa;
b) le famiglie monogenitoriali, in cui il distanziamento ha ulteriormente diviso i figli dai genitori non conviventi (nonostante il positivo ruolo svolto in tanti casi dal Web);
c) un possibile digital divide tra i ragazzi,per chi, per i più diversi motivi, non è riuscito a “restare connesso” con le proprie reti amicali, con la scuola, con altri significativi;
d) resta infine un grande punto interrogativo relativo alle fragilità familiari più gravi, a quei sistemi familiari dove la violenza e la prevaricazione nelle relazioni quotidiane potrebbe aver trovato nella reclusione forzata domestica un rinforzo tanto drammatico quanto sconosciuto (minori maltrattati, violenza contro le donne).
Sono solo alcune condizioni in cui potranno emergere nuove sofferenze relazionali familiari, nuove domande di ascolto, aiuto, presa in carico, dopo settimane di sostanziale interruzione di tanti servizi socio-sanitari e di tante iniziative di prossimità, pubbliche, private e di privato-sociale. Queste situazioni di vulnerabilità relazionale e sociale non potranno essere abbandonate a sé stesse, perché già duramente messe alla prova dall’emergenza.
La capacità dell’Italia di ripartire dovrà essere misurata non solo dai punti di Pil o dai posti di lavoro che riusciremo a rigenerare (fondamentali, peraltro), ma anche dalla reale capacità di sostenere le famiglie e le loro relazioni: quel tessuto connettivo insostituibile,quella microfibra sociale che tiene insieme un popolo, che le famiglie quotidianamente tessono con pazienza, fatica e tenacia. E che rimane insostituibile per l’equilibrio e la stabilità sociale ed economica del Paese.
* Direttore Cisf Centro internazionale studi famiglia