A Franco Garelli, sociologo e professore ordinario di Religioni nel mondo globalizzato e di sociologia della religione all’Università di Torino, chiediamo che fine hanno fatto i cattolici nella politica italiana. Sembra, infatti, che la presenza cattolica sia ormai impalpabile… «Certo, e credo ci siano varie ragioni. La prima è il mancato rinnovamento del laicato cattolico in politica, nel senso che viviamo ancora la difficoltà emersa all’inizio degli anni Novanta, con la fine della prima Repubblica. Questo è stato un momento storico che ha comportato anche la fine dell’unità politica dei cattolici e che ha determinato una certa sfiducia del mondo cattolico impegnato nell’associazionismo nei confronti della politica, anche a seguito della crisi della Dc. Così, le migliori forze dell’associazionismo cattolico si sono orientate verso un impegno nella società civile piuttosto che verso ruoli politici e istituzionali. Legato a questo argomento, c’è stato, a partire dalla metà degli anni Novanta, un forte protagonismo della gerarchia, dei piani alti della Chiesa e, a fronte della debolezza della rappresentanza politica per gli interessi dei cattolici, ha preso iniziative per proprio conto e quindi ha rappresentato un po’ autonomamente gli interessi cattolici della società italiana. Quindi, il cattolicesimo politico ha perso rilevanza e, difatti, lo stiamo vedendo in modo netto oggi. Nel centrodestra come nel centrosinistra non mancano le forze e gli esponenti di area cattolica ma, in sostanza, si tratta di due schieramenti con leadership di tipo laico e quindi i cattolici hanno sì una funzione, ma gregaria. A questo va aggiunta anche la difficoltà del cattolicesimo politico di rispondere alle istanze tipiche del tempo presente. Per me, l’aspetto rilevante è che in una società complessa, molto aperta, come quella di oggi, il cattolicesimo politico non è in grado di operare una sintesi tra le condizioni della legalità e le condizioni della solidarietà che faccia breccia nell’opinione pubblica. Diciamo che oggi il cattolico politico non riesce a proporre soluzioni rilevanti per il Paese. E poi, ancora, manca una leadership. Le leadership di tipo laico hanno più forza delle leadership cattoliche».
Eppure non mancherebbero argomenti di discussione politica dove il versante cattolico dovrebbe essere in prima fila…
«Questo è indubbio ma il dibattito politico è popolato da soggetti che fanno più breccia sul pubblico rispetto a quelli di chiara matrice cattolica, anche per una carenza di capacità di rappresentanza e di leadership».
Vuol dire che bisognerebbe cambiare, per via politica, questi leader o che è un problema interno all’area cattolica?
«È un problema interno al mondo cattolico, senza dubbio. In passato c’erano dei luoghi d’esercizio della laicità aperti in chiave politica e istituzionale; oggi, invece, c’è meno propensione in questo senso. Magari c’è più attenzione al campo del volontariato, più attenzione ai temi della famiglia anche se magari vengono visti un po’ così, come una “frontiera” di valori, ma c’è meno impegno sulle soluzioni di tipo istituzionale ai problemi del Paese. Che sono l’economia, l’uguaglianza delle opportunità, la bioetica. Tutti aspetti su cui non è che il mondo cattolico non rifletta ma che non sembra in grado di fare proposte che raccolgano il consenso di ampie fette della popolazione».
Sì, d’accordo, ci sono i cittadini ma questi temi, poi, in Parlamento diventano essenziali nel dibattito….
«E allora torniamo al discorso di prima, quello della leadership. Senza dimenticare anche il mondo cattolico riflette la frammentazione del Paese, anziché essere un’area che presenta tratti distintivi capaci di coagulare un po’ di consenso sociale in un’altra direzione».