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lunedì 14 ottobre 2024
 
In cerca di verità
 

I Regeni a papa Francesco: «Santità, alzi la voce per nostro figlio»

24/04/2017  Alla vigilia del viaggio in Egitto di Francesco, i genitori del ricercatore italiano torturato e ucciso al Cairo rompono il silenzio e rivolgono un appello al Pontefice

Da una terrazza del centro di Perugia Claudio Regeni ssa l’orizzonte del fondovalle umbro e il pensiero va a Fiumicello, il piccolo Comune friulano dove vive e a Giulio bambino che andava a caccia di storie dai vicini di casa, dal parroco, dall’amico pittore. «Era capace di ascoltare per ore, era curioso, gli piaceva la gente». La moglie Paola gli sta vicino e ci parla dei tanti messaggi che arrivano alla sua famiglia, dei tanti bambini battezzati Giulio nel suo ricordo. «Lei non sa quanto male ha sofferto mio figlio». La sera prima è stato proiettato nel capoluogo umbro Nove giorni al Cairo, il docufilm di Repubblica di Carlo Bonini e Giuliano Foschini, in collaborazione con 42esimo parallello, che ricostruisce tutta la ferocia di chi lo ha sequestrato, torturato e ucciso. I genitori del giovane ricercatore italiano hanno parlato “del suo corpo come una lavagna”. Il suo viso, su cui erano state perfino incise delle lettere con un coltellino, «era diventato piccolo, piccolo, piccolo. Su quel viso l’unica cosa che ho veramente ritrovato di lui è stata la punta del naso. Ho pensato che tutto il male del mondo si fosse riversato su di lui».

Giulio scomparve il 25 gennaio 2016, il corpo venne ritrovato il 3 febbraio lungo l’autostrada Cairo-Alessandria. Trattato - molto probabilmente da apparati di polizia e di sicurezza del Cairo (in Egitto scompaiono almeno due persone al giorno) - come un Cristo in croce, «peggio di un egiziano». Un calvario che non ha ancora avuto verità e giustizia, 14 mesi dopo. Alla vigilia del viaggio di papa Francesco in Egitto Claudio e Paola hanno deciso di rilasciare per la prima volta un’intervista, realizzata a due voci. Non importa chi dei due parla: la risposta è una sola, come il dolore che li lega.

Giulio Regeni (foto Ansa)
Giulio Regeni (foto Ansa)

Si arriverà mai a verità e giustizia per Giulio?

«Noi pensiamo che sia necessario ricercare la verità sull’uccisione di Giulio e riteniamo che quello che ha subìto sia gravissimo, oltre che inimmaginabile. Nessuno ha il diritto di decidere della libertà e della vita di una persona permettendosi di sequestrare, in iggere sofferenza e umilizioni e inne uccidere deliberatamente ».

Che significa per voi ottenere verità e giustizia?

«Significa conoscere il perché, e la catena di comando, in primo luogo; individuare quindi responsabilità di persone che sono da ritenersi pericolose e crudeli. Le persone, tutte le persone, vogliamo i nomi e i volti di coloro che hanno agito, ordinato, coperto e permesso l’orribile fine di nostro figlio».

Cosa provate nei confronti di chi ha fatto “tutto il male del mondo” a vostro figlio?

«Interpreto la sua domanda come, - si può dire - “esistenziale”, di come cioè ci si può porre di fronte alle ingiustizie profonde, al male profondo verso il proprio figlio. Noi sentiamo molto dolore, un dolore forse ancora indecifrabile. Non vogliamo che diventi odio, ma abbiamo bisogno di sapere tutto ciò che è accaduto, il perché. Nel rispetto dei valori di Giulio non vogliamo cadere nella spirale dell’odio, abbiamo bisogno di giustizia intesa come riconoscimento delle proprie responsabilità e comprensione del male inflitto a Giulio. Nostro figlio è diventato un simbolo per gli egiziani: la verità per lui può significare aprire una strada di giustizia anche per gli altri come lui».

Recentemente, insieme con il vostro avvocato Alessandra Ballerini e il presidente della Commissione del Senato per la tutela dei diritti umani Luigi Manconi avete rivolto un appello a papa Francesco. Cosa vorreste che dicesse di Giulio in occasione della sua prossima visita in Egitto?

«Desidereremmo tanto che ricordasse nei suoi discorsi la recente scomparsa di nostro figlio, magari chiedendo anche che chi può aiutare a scoprire la verità si faccia avanti, in nome della pace. La verità è un presupposto necessario per costruire pace. Non solo la nostra pace di genitori, ma anche quella dei nostri rispettivi popoli, che è anche la pace delle tantissime persone in Egitto che credono nel rispetto dei diritti umani. Certamente la sua voce potrebbe contribuire a sollevare il velo che nasconde la verità e ottenere giustizia, che non è affatto vendetta».

Chi era Giulio Regeni? Come vorreste che venisse ricordato? Lo hanno definito un simbolo della meglio gioventù italiana: studioso, cittadino del mondo, difensore delle cause dei deboli. Mi ha colpito una vostra frase: “Credeva di poter migliorare la vita delle persone”...

«I suoi studi si erano orientati verso un’economia sociale, per ricercare modelli che potessero modicare i dislivelli socio-economici, per permettere a tutti di vivere una vita dignitosa. Era giunto a questo focus dopo molti studi, abbiamo gran parte dei suoi libri, scritti in più lingue».

Lui come avrebbe commentato tutto questo?

«Probabilmente a lui non sarebbe piaciuto tanto clamore, era una persona da “profilo basso”, ma andando avanti nei mesi abbiamo capito quanto sia importante tenere alta l’attenzione sulla nostra tragica vicenda. Speriamo venga il tempo in cui potremmo chiedergli scusa, perché per le indagini abbiamo dovuto violare la sua riservatezza; ma se è un male necessario anche per gli altri “Giulio” di Egitto, sentiamo questa responsabilità. Lui amava il popolo egiziano e noi dobbiamo rispettare ciò».

Di cosa parlavate quando vi sentivate?

«La comunicazione più frequente avveniva tramite posta elettronica o chat di gmail, skype era meno frequente, proprio quando c’era tanto da raccontare o da decidere. Si parlava di tutto, della sua vita, della ricerca, di ciò che aveva visto, cose che a noi sarebbero piaciute, della famiglia, degli amici, dei problemi da risolvere: scambi tra glio e genitori come in ogni casa. La tecnologia aiuta la relazione quando i figli sono lontani. Giulio era anche spiritoso e amava scherzare, prendere in giro noi familiari e trovare i lati divertenti delle situazioni di vita quotidiana. Spesso si coalizzava con sua sorella per ironizzare sui comportamenti tipici di noi genitori e si rideva di gusto tutti insieme, ricordando le nostre storie famose vissute assieme».

Sarebbe tornato in Italia alla fine dei suoi anni internazionali?

«Aveva già provato a ritornare in Italia, cercando un lavoro, ma sappiamo quanto sia difficile per i giovani di oggi e con competenze rientrare nel nostro Paese. Giulio decise di iscriversi al dottorato oltre che per interesse di studio anche perché il riconoscimento della laurea conseguita all’estero non sarebbe stato automatico, avrebbe dovuto rifare una parte dei suoi studi e quindi decise di impegnarsi per un ulteriore titolo, riconosciuto a livello internazionale».

Quale rapporto aveva con la sua terra? Avete detto che a Giulio piaceva l’idea di avere dei figli...

«Pur essendo via da casa da ormai 11 anni, era molto legato alle sue origini, ritornare nei territori di origine gli serviva per verificare le sue scoperte, la sua crescita come persona nel confronto con gli altri. Avendo vissuto a Vienna e a Berlino aveva avuto modo di conoscere realtà sociali che permettono anche alle giovani coppie, anche di studenti, di potere avere figli, certo con sacrifici ma era possibile; ne conosceva alcune e questo lo aveva trovato molto bello e umano». Quei giorni di gennaio del 2016. L’attesa, il trasferimento al Cairo, l’angoscia, il riconoscimento.

Cosa non dimenticherete mai?

«Il desiderio e speranza fortissimi di rivederlo, parlavamo già di quando sarebbe tornato a casa; poi un turbamento immenso e profondo che convive con noi. Giulio non è soltanto morto, è stato torturato. È stato torturato più di un egiziano».

Cosa augurate ai torturatori di suo figlio?

«Che si rendano conto del male fatto a Giulio senza nessuna ragione e di quello che probabilmente fanno ancora ai figli dei loro “fratelli”. Di quanto bene hanno tolto al mondo e di quanto male si stanno facendo moltiplicatori ».

Quando disse che andava in Egitto sospettò qualche pericolo? Erano pur sempre i giorni del dopo Mubarak e del golpe militare successivo alla rivoluzione incompiuta di piazza Tahrir...

«Ricordiamo che poi c’è stato il Governo Morsi, destituito dall’attuale Al Sisi; Giulio per uno stage Unido-Onu era al Cairo nel 2013 quando Al Sisi prese il potere, ritornandoci nel settembre 2015 aveva trovato la situazione più tranquilla».

Suo  glio era consapevole di ciò cui andava incontro? È vero che lei, signora Claudia, scrisse un messaggio alla tutor egiziana di Giulio a Cambridge che aveva deciso di inviarlo un semestre al Cairo rimproverandogli che era pericoloso?

«Giulio era una persona prudente. I fatti sono andati diversamente, io (la mamma) ho scritto alla professoressa subito dopo che avevo appreso la tragica morte di Giulio, dicendole che, in quanto professoressa esperta dell’Egitto, forse doveva valutare la pericolosità. Nessuno al Cairo poteva immaginare un livello simile di pericolosità per gli stranieri e per i ricercatori; ci siamo confrontati con diverse persone e tutti hanno confermato che al massimo uno straniero sarebbe stato espulso. In Egitto dicono che con Giulio hanno rotto il tabù dello straniero rispetto alla tortura; Giulio purtroppo è stato una cartina di tornasole rispetto alla violazione dei diritti civili e della libertà fisica e di espressione».

Secondo voi ha senso proseguire le indagini in collaborazione con quegli stessi apparati che probabilmente hanno ucciso vostro figlio?

«Una bella domanda, nessuno ce l’ha fatta! Noi dobbiamo seguire le vie ufficiali per arrivare a una verità giudiziaria e ci diamo dell’intelligenza e della tenacia della nostra procura e dei nostri legali».

Amici, collaboratori, conoscenti. Man mano che affiorano i particolari della vicenda si scopre che Giulio al Cairo era circondato da molti Giuda...

«Pensare che una cosa del genere possa succedere e al proprio glio è terribile; una delle suore del Cairo che all’ospedale italiano ha probabilmente visto Giulio ci ha detto: “Lei ha un figlio martire!”».

Gli scambi commerciali tra Italia e Egitto vanno a gonfie vele. Ritenete realistico che il Governo italiano faccia pressioni su quello egiziano mettendo in atto ritorsioni?

«L’uccisione di Giulio dovrebbe mettere le persone di fronte a scelte che mettono in campo valori etico- morali, bisognerebbe capire su quali princìpi si basano gli scambi commerciali tra i due Paesi; si dice: nella vita c’è sempre una prima volta».

Le istituzioni vi sono state vicine?

«Le istituzioni sono fatte da persone e quindi a livello umano ci sono stati dei rappresentanti dello Stato presenti, alcuni con continuità, competenza e affetto (pensiamo al premier Gentiloni o al senatore Luigi Manconi), altri decisamente meno».

Voi siete circondati dall’affetto degli italiani. Cosa vi scrivono?

«Riceviamo sempre tante lettere, cartoline, bigliettini, disegni, libri, dediche, la maggior parte è per dirci che non siamo soli, di continuare la nostra ricerca di verità, che abbiamo forza e coraggio e soprattutto che Giulio è diventato oramai il figlio, il fratello, il nipote di tante famiglie. La sua biografia ha permesso a molti di riconoscere in Giulio un proprio familiare molto amato».

(Foto Stefano dal Pozzolo / Contrasto; Ansa)

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