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sabato 21 settembre 2024
 
 

Quei giudici "né rossi né bigi"

31/07/2013  Tutti a chiedersi da che parte eventualmente stanno i giudici, nessuno a sperare che facciano semplicemente il loro lavoro, senza pensare alla politica o al Governo. Un Paese adolescente che...

Può darsi pure che questi saranno davvero i giorni del giudizio su una lunga stagione della politica italiana. Ma è solo l'esito di una distorsione. Da settimane e settimane politici e analisti si esercitano a disegnare scenari sugli effetti extragiudiziari della sentenza di Cassazione che deciderà del cosiddetto processo Mediaset. Da settimane cercano di dedurre un barlume di pronostico sull'esito della sentenza a partire dalla storia dei magistrati che compongono la sezione feriale della cassazione chiamata a giudicare: ne scandagliano le vite, cercando di desumerne gli orientamenti.

E fa specie che, tra i tanti che si sono dati a questo gioco, talora anche un po' ozioso, non se ne sia sentito uno augurarsi che questi giudici, quale che sia la loro storia, facciano bene il loro lavoro, cioè decidano in coscienza, indipendenti e autonomi come la Costituzione pretende, con la mente sgombra dagli scenari apocalittici evocati a destra e a manca e con gli occhi fissi sul codice di procedura penale, cercando di avvertire il meno possibile l'enorme pressione esterna che si sta scaricando indebitamente sulle loro spalle.

Nessuno che si auguri che non siano, per dirla ancora una volta con Calamandrei, «né rossi né bigi», né azzurri né arancioni, ma «coscienze tranquillamente fiere» rispettose della loro toga nera, che esiste proprio per scolorire simbolicamente le disuguaglianze individuali «sotto l'oscura divisa della funzione».
Vien da pensare che una giurisdizione libera in questo Paese, che tante volte si proclama liberale a sproposito, sia una patata bollente che tutti a parole apprezzano a patto di non trovarsela tra le mani. Un po' come certe opere pubbliche: tutti d'accordo, ma non nel mio giardino.

Ma se distorsione c'è, non può essere, in una democrazia europea, nell'indipendenza dei giudici, cui pure in questi anni s'è molte volte vagheggiato di porre un limite, semmai nell'adolescenza eterna di un Paese che carica sulle loro sentenze significati esterni spropositati, perché abitato da una classe politica e da un'opinione pubblica cronicamente incapaci di dare sui fatti un giudizio storico, politico, etico, financo di opportunità prima che arrivi una sentenza definitiva a prenderle per mano. Quasi che non ci fosse criterio di bene e male al di fuori del codice penale.

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