Il G20 di Matera si è svolto all’insegna di una lunga serie di intrecci che hanno reso perfettamente le opportunità e le difficoltà del periodo. Per l’Italia era la prima volta alla presidenza del consesso che raduna i Paesi che rappresentano il 60% della popolazione mondiale e il 78% del Pil globale. Ma era anche la prima volta in cui un G20 a presidenza europea (l’Italia, appunto) seguiva di poche settimane un G7 anch’esso a presidenza europea (Regno Unito) e precedeva di qualche mese la Conferenza mondiale sul Cambio Climatico che si svolgerà in Scozia e che sarà presieduta da Italia e Regno Unito insieme. Per non farsi mancare nulla, alla vigilia del G20 Russia e Cina hanno celebrato il ventennale del loro patto di cooperazione. Il ministro degli Esteri Lavrov ha snobbato l’incontro di Matera (ha delegato a un vice-ministro, essendo lui impegnato, pensa un po’, nelle celebrazioni del centenario del Partito comunista), mentre quello cinese, Wang Yi, si è manifestato solo via computer.
È dunque facile parlare, come si è fatto, doverosamente, di multilateralità, cooperazione internazionale e risposta comune alle grandi sfide collettiva. Sapendo, però, che proprio la grande emergenza planetaria del Covid-19 ha fatto scattare una serie di “movimenti” difensivi in senso nazionalista che sarà difficile dimenticare. Tanto difficile che il ministro degli Esteri della Germania, Heiko Maas, si è premurato di attaccare la “diplomazia dei vaccini” di Russia e Cina, come se Usa e Ue non avessero fatto altrettanto.
Secondo le statistiche degli esperti, i Governi del G20 mantengono gli impegni presi in questi consessi in una misura che va dal 60 all’80%. Sarà il tempo a dirci, quindi, se davvero miliardi di fiale di vaccino anti-Covid saranno fornite ai Paesi poveri o poco sviluppati. Se le barriere commerciali saranno abbassate o se invece, come il contenzioso sempre più aspro con la Cina farebbe supporre, saliranno ancora un po’. Se l’esigenza di rilanciare l’economia mondiale, piagata dalla pandemia, riuscirà ad accordarsi con le politiche di salvaguardia dell’ambiente. Se n’è parlato a Matera e se ne parlerà ancora.
Meno enfatica, ma paradossalmente più concreta, è stata invece l’intonazione africana di queste due giornate tra Roma e Matera, che ha visto l’evidente consonanza delle intenzioni e degli interessi di Usa e Italia. A Washington preme recuperare qualche posizione nel continente dove la Cina ha ormai piantato solide radici, tanto da insediarvi anche la sua prima base militare, a Gibuti. E ribattere al dilagare dell’estremismo islamista, che nei paesi del Sahel è ormai il primo fattore di instabilità e violenza. A Roma sembra farsi finalmente strada l’idea che il Mediterraneo, con tutti i suoi drammi, è “solo” l’approdo di problemi (terrorismo, migrazioni, traffico di esseri umani oltre che di armi, stupefacenti e militanze varie) che nascono molto più a Sud. Cioè, nelle terre africane dove ormai l’Isis e gli altri movimenti mercenari dell’islamismo hanno trasferito il vero quartier generale.
Usa e Italia hanno un altro interesse comune: la Libia. Che vale per sé stessa, ovviamente, ma anche e soprattutto per la sua funzione di grande portale tra l’Africa e il Mediterraneo. Per questo è tanto contesa, anche dai Paesi come Russia e Turchia che ambiscono a sfidare l’ordine internazionale costituito. È l’Africa la prossima grande sfida. E l’Italia, lo voglia o no, è in prima linea