Il Papa parla a lungo sottovoce con la mamma d i uno dei due bambini uccisi dall'Isis insieme con una ragazza, che stava per sposarsi, la mattina del 6 agosto 2014. Una morte che, ricorda la donna, Doha Sabah Abdallah, ha salvato l’intero villaggo perché è stato il sgenale che non si poteva più aspettare e che si doveva fuggire. La popolazione di Qaraqosh, che, dopo un primo allontanamento era tornata con speranza nelle proprie case, ha capito in quel momento che non c’era più tempo e si è messa in marcia verso Erbil. Migliaia di case bruciate, i servizi essenziali distrutti, la cattedrale, dove il Papa incontra la popolazione, usata come poligono d'addestramento per i combattenti del Califfato. «Chi avrebbe mai pensato che un giorno avremmo avuto la vostra presenza, Sua Santità», dice emozionato don Ammar Yako, vicario Generale dell’Arcidiocesi di Mosul dei Siri.
Papa Francesco li incoraggia ricorda che, «la diversità culturale e religiosa della gente di Qaraqosh mostra qualcosa della bellezza che la vostra regione offre al futuro. La vostra presenza qui ricorda che la bellezza non è monocromatica, ma risplende per la varietà e le differenze».
Nel luogo di distruzione, con i segni ancora visibili della distruzione e della violenza, il Papa sottolinea che «questo nostro incontro dimostra che il terrorismo e la morte non hanno mai l’ultima parola. L’ultima parola appartiene a Dio e al suo Figlio, vincitore del peccato e della morte. Anche in mezzo alle devastazioni del terrorismo e della guerra, possiamo vedere, con gli occhi della fede, il trionfo della vita sulla morte. Avete davanti a voi l’esempio dei vostri padri e delle vostre madri nella fede, che hanno adorato e lodato Dio in questo luogo. Hanno perseverato con ferma speranza nel loro cammino terreno, confidando in Dio che non delude mai e che sempre ci sostiene con la sua grazia». E invita la popolazione ad abbracciare questa eredità, a ricostruire, ad affidarsi alla Grazia di Dio. «Non siete soli!», li rassicura. «La Chiesa intera vi è vicina, con la preghiera e la carità concreta. E in questa regione tanti vi hanno aperto le porte nel momento del bisogno».
Questo, allora, è il momento non solo di ricostruire gli edifici, ma di rimettere in piedi «i legami che uniscono comunità e famiglie, giovani e anziani». Ricordando le parole di Gioele - «I tuoi figli e le tue figlie profetizzeranno, i tuoi vecchi sogneranno e i tuoi giovani avranno visioni» - papa Francesco chiede ai giovani e agli anziani di questa terra di unirsi, di preservare, insieme, e trasmettere i doni che Dio dà. «Guardiamo i nostri figli, sapendo che erediteranno non solo una terra, una cultura e una tradizione, ma anche i frutti vivi della fede che sono le benedizioni di Dio su questa terra. Vi incoraggio a non dimenticare chi siete e da dove venite! A custodire i legami che vi tengono insieme, a custodire le vostre radici!», dice il Pontefice. Certo, la fede può vacillare, «quando sembra che Dio non veda e non agisca». E questo sicuramente è stato «vero nei giorni più bui della guerra, ed è vero anche in questi giorni di crisi sanitaria globale e di grande insicurezza», ma, li esorta: «In questi momenti, ricordate che Gesù è al vostro fianco. Non smettete di sognare! Non arrendetevi, non perdete la speranza! Dal Cielo i santi vegliano su di noi: invochiamoli e non stanchiamoci di chiedere la loro intercessione».
Santi anche della porta accanto, santi che sono tra la popolazione, perché questa «è una terra di tanti uomini e donne santi. Lasciate che vi accompagnino verso un futuro migliore, un futuro di speranza».
E sottolinea, della testimonianza della signora Doha, la parola perdono, «una cosa che mi ha commosso: ha detto che il perdono è necessario da parte di coloro che sono sopravvissuti agli attacchi terroristici. Perdono: questa è una parola-chiave. Il perdono è necessario per rimanere nell’amore, per rimanere cristiani. La strada per una piena guarigione potrebbe essere ancora lunga, ma vi chiedo, per favore, di non scoraggiarvi. Ci vuole capacità di perdonare e, nello stesso tempo, coraggio di lottare».
Il Papa non nasconde quanto questo possa essere difficile, ma è l‘unica strada per riportare la pace. Confidando in Dio e insieme «a tutte le persone di buona volontà, diciamo “no” al terrorismo e alla strumentalizzazione della religione», insiste Francesco.
E dalla testimonianza di padre Ammar riprende il ricordo degli «orrori del terrorismo e della guerra», ma anche il ringraziamento al «Signore che vi ha sempre sostenuto nei tempi buoni e in quelli cattivi, nella salute e nella malattia. La gratitudine nasce e cresce quando ricordiamo i doni e le promesse di Dio. La memoria del passato plasma il presente e ci porta avanti verso il futuro».
Chiede non solo il perdono, ma prega per la conversione di chi ha fatto del male, «e per il trionfo di una cultura della vita, della riconciliazione e dell’amore fraterno, nel rispetto delle differenze, delle diverse tradizioni religiose, nello sforzo di costruire un futuro di unità e collaborazione tra tutte le persone di buona volontà».
E infine affida la rinascita di Qaraqosh a Maria. Laddove l’Isis ha distrutto la croce, oggi c’è una statua della Madonna. «Mentre arrivavo con l’elicottero», dice Francesco, «ho visto la statua della Vergine Maria su questa chiesa dell’Immacolata Concezione, e ho affidato a lei la rinascita di questa città. La Madonna non solo ci protegge dall’alto, ma con tenerezza materna scende verso di noi. La sua effigie qui è stata persino ferita e calpestata, ma il volto della Madre di Dio continua a guardarci con tenerezza». Come fanno tutte le madri che il Papa ringrazia perché «le madri e le donne di questo Paese sono donne coraggiose che continuano a donare vita nonostante i soprusi e le ferite. Che le donne siano rispettate e tutelate! Che vengano loro date attenzione e opportunità!».
Nella foto: l'altare della cattedrale come appariva nel 2016, dopo la liberazione della città. (copyright Valle)