«La guerra è una recidiva preoccupante. Si pensava che, dopo il primo conflitto nel Golfo, fossero maturati nell’organismo mondiale degli anticorpi cosi forti contro il “mal di guerra”, che per parecchi anni non avremmo sentito parlare di violenza armata, almeno nei luoghi così martoriati del Medioriente. Invece, eccoci in una più tragica ricaduta: tanto più tragica quanto più solerte sembra l’intervento delle potenze internazionali, in contrasto con la deplorevole indifferenza con cui le stesse si pongono di fronte ad altre situazioni che meriterebbero ben altra considerazione: il problema dei profughi palestinesi, la disperazione della Bosnia, le sconosciute situazioni di conflitto e di fame presenti in Africa… Ciò che mi affligge di più, comunque, in questa ripresa del conflitto sono due cose. Il terrore di dover ripetere, in un mondo di sordi, le stesse argomentazioni contro la guerra; di dover risentire le filastrocche sul pacifismo a senso unico; di dover rispondere che il pacifismo si desta solo quando c’è puzza di America… E poi il dover constatare che gli interessi economici prevalgono sui più elementari diritti umani. Si aprono i flash sulla Somalia, sull’Iraq. Ma si chiudono luci e cuore, quando ci sono di mezzo i poveri».
È un appunto autografo, curiosamente senza luogo né data, considerata l’attenzione dell’autore per i dettagli. A scriverlo è don Tonino Bello, ora venerabile, e a riproporlo all’attenzione dei lettori è Giancarlo Piccini, presidente della Fondazione intitolata al vescovo salentino, nel libro Anticorpi di pace – Pagine inedite e ritrovate (San Paolo, pp. 176, euro 15). Una riflessione provocatoria, com’è nello stile di don Tonino, e quanto mai attuale nell’Europa divenuta di nuovo palcoscenico di una guerra fratricida che l’agenda del media system, dopo la commozione iniziale, sembra quasi aver archiviato, relegandola in fondo a quotidiani e Tg.
Piccinni, nel commentare questo scritto «che ho ricevuto da don Tonino nel 1993 ma che rappresenta a tutti gli effetti un inedito», si lascia andare a un moto di scoramento, come se la profezia di pace di don Tonino fosse – a dispetto dell’affetto che suscita tra credenti e no - qualcosa del passato o, peggio, di ripetitivo e noioso da archiviare in fretta. «Penso a quante volte, andando in giro per piazze, chiese, teatri», commenta Piccinni, «abbiamo proposto la lezione di pace di Tonino Bello e mi tornano in mente i commenti dei soliti benpensanti: “Sempre le stesse cose, sempre a parlare di pace. Siete monotoni, ripetitivi. Annoiano questi argomenti: ormai la guerra non può più tornare”. E allora, mi chiedevo, perché continuiamo ad armarci? Perché tanti investimenti sulle armi, sull’impero della morte? Perché non investire in salute, in istruzione? Perché non combattere la fame, le malattie, le disuguaglianze? In una parola perché armarci e non amarci?».
Il volume, che vede la prefazione del cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione per le Cause dei santi, è diviso in due parti: la prima riporta alcuni scritti inediti di don Tonino (lettere, omelie, appunti) e la seconda una raccolta d’interventi di Piccini collocati in momenti diversi: la visita nel 2018 di papa Francesco ad Alessano e Molfetta, la pandemia, il ricordo del fratello di don Tonino, Marcello. Piccinni riporta anche il discorso che don Tonino, da presidente nazionale di Pax Christi, pronunciò nel 1989, davanti a un’Arena di Verona traboccante di gente, in occasione di un incontro promosso dai “Beati costruttori di pace”. Molto interessante è l’intervista che rilasciò a margine di quell’evento e che è riportata nel volume. A chi gli chiede se l’attività di Pax Christi proseguirà senza incontrare ostacoli, don Tonino risponde: «È difficile come per ogni è lavoro creativo che richieda impegno e, soprattutto, sforzo per coscientizzare la gente. È difficile, si trovano tante difficoltà. A volte anche all’interno dell’ambiente ecclesiale c’è qualche diffidenza. Ma è giusto che sia così, è fisiologico sarei per dire. Però vediamo anche un’economia sommersa straordinaria: di grazia, di entusiasmo, di voglia di proseguire per questa strada. Noi abbiamo tantissima fiducia, anche perché poi stiamo facendo gli interessi della “ditta”, cioè del Signore, che è il Re della pace».
Concludiamo con una nota a margine. Il 10 agosto di quest’anno ricorrono i 40 anni della nomina episcopale di don Tonino Bello a vescovo della diocesi di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi. Negli archivi della Fondazione è conservata, una lettera, anch'essa inedita, che don Tonino inviò nel luglio del 1982 a Giovanni Paolo II per accettare, sia pure a malincuore, la nomina: «La mia accettazione», scrive, «oltre che carica di incertezze, è anche permeata di molta tristezza: mi fa così soffrire il pensiero di dover lasciare questo popolo che ho amato e servito per tre anni, che riterrei una grazia straordinaria del Signore poter continuare a lavorare nella mia parrocchia (quella della chiesa Matrice di Tricase, in provincia di Lecce, ndr) ancora per qualche tempo. Se non insisto per essere liberato da questo onore e da queste responsabilità che mi spaventano è perché temo di intralciare i disegni di Dio».
In queste poche righe è condensato tutto lo stile di don Tonino e soprattutto, scrive Piccinni, «il suo intendere il ministero nella Chiesa sempre a servizio del popolo».