Cari amici lettori, quando sfoglierete questa copia di Credere la Giornata mondiale della gioventù 2023, che quest’anno si tiene a Lisbona dal 2 al 6 agosto, sarà già in pieno svolgimento. A essersi iscritti all’evento sono oltre 330 mila giovani, provenienti da 200 nazioni.
Questo è un primo dato, che merita anche una riflessione. Certo non sono le folle oceaniche della Gmg di Roma del 2000. Ma anche quest’anno si tratta comunque di un numero considerevole di giovani, come vi abbiamo anche raccontato nello scorso numero e in questo che avete in mano (pagg. 14-17) presentandovi alcune esperienze in preparazione a questo importante appuntamento.
Significa che ci sono ancora giovani attratti da Cristo, con il loro carico di speranze, di attese, di ricerca, di desiderio di “essere confermati nella fede”. Significa che la fede cristiana è una dimensione che può dare senso e orientamento anche ai millennials.
Mi pare un motivo per cui gioire, che smentisce almeno in parte le facili lamentele che «non ci sono giovani in chiesa». Certamente, l’atmosfera è cambiata rispetto alle Gmg di 20 o 30 anni fa: i toni trionfalistici di un tempo sono ormai un ricordo.
In compenso, mi sembra di scorgere un maggiore realismo da parte della Chiesa nell’approcciarsi alle nuove generazioni. Ne è un esempio proprio papa Francesco, consapevole delle loro difficoltà e dei loro dubbi rispetto alla fede, alla Chiesa…
La differenza con il passato è che queste “realtà grigie” trovano spazio e ascolto: si vedano gli interessanti podcast su Vatican News (intitolati Popecast) che, in preparazione all’appuntamento di Lisbona, hanno dato voce alle storie, alle difficoltà e alle provocazioni di alcuni ragazzi: Giona, disabile e transessuale, Edward e Valerij, che sono stati in carcere per furti e rapine, Giuseppe, schiavo dei videogame….
Storie forse un po’ estreme di disagio, ma che rispecchiano bene alcune realtà giovanili di oggi. È un bene che questa realtà emerga e la Chiesa se ne faccia carico. Ed è anche l’indicazione di un impegno: quello di affiancare, come comunità cristiane, le nuove generazioni nella loro realtà di vita, nelle loro speranze come nelle loro delusioni (come quella che nasce dalla consapevolezza di una “mancanza di futuro”).
Mi sembra questa la strada giusta per un dialogo fecondo tra Chiesa e giovani: una comunicazione che tocchi la “carne”, come ama dire papa Francesco. Da sempre i giovani hanno sete di autenticità, ma oggi ancor più attendono dalla Chiesa una vicinanza non giudicante, capace di ascolto e di pazienza: una semina che rispetta i tempi lunghi della maturazione.
È una realtà che chiede a noi adulti di saper accettare una sorta di “incertezza”, mettendoci forse a disagio perché vorremmo magari persone “granitiche” e scelte “risolute” in un batter d’occhio. Ma prendere atto della fragilità, della precarietà, delle zone grigie fa parte di quel “mestiere” della Chiesa che si chiama pastorale.
Bisogna lasciarsi guidare da un’unica fondamentale certezza, che papa Francesco non ha mancato di ricordare rivolgendosi ai giovani dei podcast:
«Il Signore sempre cammina con noi, sempre. Il Signore non ha schifo di nessuno di noi. Anche nel caso in cui noi fossimo peccatori, lui si avvicina per aiutarci. Il Signore ci ama come siamo. E questo è l’amore pazzo di Dio». È l’unico sguardo che conta davvero e che noi credenti adulti dovremmo fare nostro fino in fondo con i giovani.