L'impianto nucleare iraniano nei pressi di Isfahan (Reuters).
Barack Obama lo ha descritto così: "Grazie all'accordo, la comunità internazionale potrà verificare che l'Iran non sviluppi l'arma atomica. Teheran sarà privata del 98% delle sue attuali riserve di uranio arricchito. E' un accordo che non si basa sulla fiducia ma sulla verifica. Se l'Iran violerà l'accordo tutte le sanzioni saranno ripristinate e ci saranno serie conseguenze. Nessun accordo avrebbe significato nessun limite al programma nucleare iraniano. Gli Stati Uniti manterranno le sanzioni contro l'Iran collegate alla violazione dei diritti umani".
Eppure, l'accordo firmato tra il "5+1" (cioè, Usa, Francia, Gran Bretagna, Cina, Russia e Germania) e l'Iran sul programma nucleare iraniano non piace a tutti. In prima fila, ovviamente, Israele e Arabia Saudita. Ritrovarli affiancati non sorprende più nessuno, visti i cordiali rapporti instaurati negli ultimi anni. Colpisce, però, l'asprezza della loro opposizione e la sfiducia che manifestano nella leadership internazionale degli Usa, cioè del Paese che è da molti anni il loro alleato più fedele e il loro sponsor più potente e generoso.
Il premier israeliano Benjamin Bibi Netanyahu ha detto: "All'Iran è stata garantita una via agevole verso le armi nucleari, perché molte delle limitazioni che erano state introdotte per impedirlo verranno ora eliminate... L'Iran avrà in regalo una fortuna finanziaria, centinaia di miliardi di dollari che gli permetteranno di continuare la sua politica di aggressione e terrore nella regione e nel mondo". E l'ex ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, ha aggiunto: "La storia ricorderà questo accordo con l'Iran come l'accordo di Monaco con la Germania nazista". L'Arabia Saudita aveva fatto chiaramente capire come la pensasse già in maggio, quando il re Salman aveva disertato il summit dei Paesi del Golfo convocato negli Usa proprio per tranquillizzarli rispetto ai colloqui con l'Iran.
Chi ha ragione? La nostra risposta è: tutti e nessuno. In pratica, tutte le affermazioni dei leader politici del Medio Oriente possono essere rovesciate nel loro esatto contrario. L'Iran appoggia e sostiene il terrorismo? Certo, dal Libano allo Yemen. Ma l'Arabia Saudita che cos'ha fatto, finora, dalla Cecenia alla Siria dell'Isis? E Israele, che ha da anni uno sviluppato settore nucleare militare (c'è chi sostiene: 200 testate) fuori da qualunque controllo o trattato internazionale? Dall'anno scorso l'Arabia Saudita è il maggior compratore di armi del mondo, e gli Emirati Arabi Uniti seguono a ruota. Confinano con l'Iran ma nessuno ha mai scritto che i loro acquisti fossero una minaccia per gli iraniani. Armi che sono regolarmente finite, in parte, ad alimentare le guerriglie sunnite della regione: Isis compreso e Hamas escluso, perché i suoi lanci di razzi sono finanziati dall'Iran.
Da questo punto di vista, insomma, si potrebbe discutere per anni senza arrivare a nulla. Per tornare all'Iran, e ai dubbi di chi non condivide l'accordo, un ruolo decisivo sarà giocato dai controlli internazionali, in particolare da quelli dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica dell'Onu. L'Iran, che ha sottoscritto il Trattato per la non proliferazione nucleare, con questo accordo ha accettato che le ispezioni dell'Agenzia si svolgano secondo il cosiddetto Additional Protocol, quello che prevede i controlli più stretti e ispezioni improvvise. Se questi funzioneranno, l'accordo darà i frutti sperati. Quel che si può dire è che se si è arrivati alle sanzioni e se l'Iran è stato costretto a trattare, fino a questa firma, il merito è stato proprio dei controlli, che hanno di fatto costretto gli ayatollah a rovesciare la politica aggressiva e bellicista per otto anni perseguita dal presidente Ahmadinejad.
Ancora più importante, e forse anche più gravida di conseguenze, è la questione politica. Con questo accordo, infatti, l'Iran cessa di essere uno "Stato canaglia" e torna nel consesso delle nazioni. Sotto osservazione permanente, ma con una dignità nazionale certificata dall'accordo firmato con cinque grandi Paesi. E' un bene o è un male?
Anche in questo caso, la risposta sarà dettata dagli anni a venire. L'agenzia di Stato iraniana Irna ha così descritto il senso dell'accordo: "Le sanzioni economiche adottate da Usa e Ue saranno rimosse con l'entrata in vigore dell'accordo. In particolare quelle imposte alla Banca Centrale iraniana, alla compagnia petrolifera nazionale, alle compagnie aeree e di navigazione e a molte altre istituzioni e persone. Torneranno disponibili asset iraniani per centinaia di miliardi di dollari congelati all'estero, oltre alla possibilità di acquistare tecnologia e macchinari utilizzabili anche per scopi militari, che l'Iran potrà acquisire attraverso il benestare di una commissione congiunta composta da Iran e 5+1. Sarà possibile riprendere la cooperazione economica con l'Iran in ogni campo, inclusi gli investimenti in petrolio e gas". Il messaggio alla popolazione è chiaro: vivremo meglio, il Paese sarà più prospero.
Tornerà disponibile sul mercato internazionale del petrolio la capacità produttiva dell'Iran, circa 1,5 milioni di barili al giorno. Questo poco piacerà a Paesi esportatori di petrolio come Arabia Saudita e Russia, in tempi di prezzi del greggio in ribasso. Saranno invece contenti i Paesi che avevano buone relazioni con l'Iran e che ora potranno fare affari con un Paese che recupera le sue capacità economiche ma che si trova, a causa delle sanzioni e di un governo dell'economia a dir poco discutibile, con molti investimenti da fare. Tra questi spunta l'Italia, che a fine 2010, con un interscambio del valore di 7 miliardi di euro, era il primo partner commerciale nella Ue della Repubblica islamica.
Ma al di là delle questioni economiche e militari, un fatto è certo: la tradizionale politica occidentale per il Medio Oriente, di appoggio totale ai Paesi sunniti e di confronto con quelli sciiti, con questo accordo viene parzialmente messa in crisi. Si può parlare anche con gli sciiti, a quanto pare. Anzi: si può parlare e trattare con il Paese della rivoluzione islamica sciita, il Paese guida per tutti gli sciiti del mondo. Le conseguenze possono essere notevoli, sia in Medio Oriente (l'Iran esercita un'influenza decisiva anche sull'Iraq, dove le sue milizie combattono l'Isis) sia altrove.