E' stata la prima Pontida senza Umberto Bossi, quasi un controsenso. Il raduno nel prato della città della Bergamasca è sempre stato il luogo dell'apoteosi del fondatore della Lega, il luogo dove misurare la compattezza del movimento e celebrare in forma quasi mistica programma e dirigenza. Il destino ha voluto che divenisse anche il teatro della fine del suo protagonista, come in una tragedia greca. Matteo Salvini, il segretario della Lega Nord (ma per quanto si chiamerà ancora così?), non lo ha fatto nemmeno parlare dal palco. Troppo pesante e imbarazzante la condanna a due anni e mezzo del Tribunale di Genova per truffa ai danni dello Stato, con il conseguente sequestro di 48 milioni di euro dalle casse della Lega, la maggior parte dei quali - riciclati in fondi neri in Tanzania e a Cipro - distorti per utilizzo privato della famiglia Bossi. Il fondatore della Lega grida pateticamente alla congiura dei servizi segreti, ma Salvini intende approfittare dell'occasione per voltare definitivamente pagina. In pratica Bossi avrebbe rubato i fondi dello Stato mentre gridava "Roma ladrona". Una fine non proprio gloriosa.
A Pontida i simboli e i colori hanno sempre avuto la loro importanza. Il verde è il colore della Lega, da sempre. Ma ieri in mezzo al verde spiccava il blu della felpa di Salvini, quel blu molto vicino nella scala cromatica all'azzurro della Casa Savoia, l'azzurro dell'unità nazionale. Salvini, che nel discorso finale aveva una camicia bianca, in stile "renziano" (un messaggio agli arrabbiati del Pd?), ha messo in soffitta l'armamentario nordista del dio Po, dei celti, della rosa camuna, dell'autonomia, della secessione, del federalismo che ha occupato gran parte della storia della Seconda Repubblica, per lanciare una campagna che va "Dalle Alpi alla Sicilia", un lunga marcia che dovrebbe arrivara alla presa di potere a Palazzo Chigi. E' il secondo punto fermo della convention leghista di ieri: Salvini non ha nessuna intenzione di cedere la leadership a Silvio Berlusconi. Il candidato premier è lui: lo si leggeva apertamente sulla sua felpa blu.
Dopo aver riconosciuto ancora una volta le radici del movimento (senza nemmeno citare Bossi), dopo aver alluso nemmeno tanto apertamente a una congiura dei giudici, in stile berlusconiano, distinguendo tra magistratura seria e magistratura non seria (quella che sequestra i conti alla Lega, evidentemente) e chiamato i militanti a una reazione di orgglio ("andremo avanti senza soldi") il segretario della Lega nazionale ha illustrato il suo programma politico occhieggiando alle forze dell'ordine: "Quando andremo al Governo daremo mano libera a uomini e donne delle forze dell'ordine per darci pulizia e sicurezza". Un' allusione nemmeno troppo nascosta ai nuovi alleati della Lega, come CasaPound, quella destra radicale e mussoliniana che caratterizza da sempre il nuovo corso di Salvini fin dal corteo di Milano del 18 ottobre 2014. L'evocazione dell'aumento di potere delle forze dell'ordine è sempre qualcosa di inquietante. In questo la differenza con la Lega Nord di Bossi, apertamente antifascista fin dalla sua fondazione, è netta. Quella del neo segretario, che ha mescolato la Lega ai saluti romani dei circoli di CasaPound, è un' espressione ambigua in cui ci puoi mettere di tutto, in fondo anche un "golpe bianco". Nel caso di Salvini (che però nel suo discorso ha parlato anche di rispetto della democrazia) un "golpe blu". I governatori leghisti di Lombardia e Veneto, molto presi dal referendum sull'autonomia del prossimo ottobre, ieri stavano a guardare compiaciuti, condividendo la nuova linea del segretario che ha portato una lega morente del 3 per cento all'attuale percentuale del 12. Bossi ormai è buono solo per le foto dell'album di famiglia.