Tiziana ha detto: «Domenica? No grazie!» già oltre cinque anni fa, quando ha lasciato il posto di commessa che la costringeva tutti i fine settimana a stare in negozio, invece che con i propri cari. «A ripensare a come trascorrevo quelle giornate che dovevano essere di festa, sto ancora male. Quegli anni mi hanno davvero segnata. Così ho deciso: prima la famiglia, poi tutto il resto». E si è licenziata.
Ora Tiziana D’Andrea, 47 anni, trevigiana, figlia di commercianti, la metà trascorsi dietro un bancone, una cassa o al telefono di un call center, ha ripreso a lavorare, «ma in un negozio in centro a Treviso che resta chiuso la domenica; così posso conciliare affetti e lavoro», dice convinta.
Aveva deciso di dare un taglio all’esperienza lavorativa nel 2012, all’indomani dell’uscita del decreto “Salva Italia”: il provvedimento con il quale il Governo di Mario Monti, in nome di quella liberalizzazione che avrebbe dovuto risollevare i consumi nel nostro Paese, stabiliva l’apertura degli esercizi commerciali 24 ore su 24, sette giorni su sette. Insomma: sempre. «Dissi basta», racconta, «scelsi di stare con mio figlio e con mio marito. E di battermi contro le domeniche lavorate, distruttrici della famiglia». Anche a costo di qualche rinuncia e di qualche inevitabile sacrificio economico.
Tiziana, nel frattempo, è diventata la leader veneta della protesta contro le domeniche lavorate e gestisce il gruppo Facebook “Domenica no grazie Veneto”, che conta oltre mille aderenti, un popolo intero di commesse, ma anche tanti titolari di esercizi pubblici e negozi contrari alla liberalizzazione selvaggia.
Da qualche tempo Tiziana ha preso a cuore anche le sorti dei tantissimi clienti, riunitisi in comitato, truffati e lasciati senza un soldo dai recenti clamorosi crack della Popolare di Vicenza e Veneto Banca, a fianco di un sacerdote veneziano, don Enrico Torta, che si è fatto portavoce del loro disagio dopo che hanno perso tutto.
«Ha ragione la Chiesa quando afferma che bisogna “impegnarsi perché la legislazione civile recepisca, nel rispetto della libertà religiosa e del bene comune, il riposo la domenica e nei giorni festivi”». Non basta il cosiddetto giorno di “riposo compensativo”, riconosciuto anche dalle multinazionali della grande distribuzione. Che te ne fai, infatti, del lunedì mattina, quando i tuoi figli sono a scuola e il marito in ufficio? Il riposo che senso ha, se non lo condividi anzitutto con coloro che ami?», si chiede polemicamente D’Andrea.
«Fino a quando non ci riapproprieremo della domenica, saranno sempre più a rischio i nostri affetti; le relazioni familiari e le nostre case somiglieranno sempre più ad alberghi frequentati da sconosciuti». Di domenica Tiziana, per scelta, non va mai al centro commerciale a fare acquisti. «Casomai», dice, «vado a correre un po’».
La lunga marcia per le “domeniche chiuse” è appena iniziata, ma, Tiziana ne è convinta, non si fermerà tanto facilmente.