«Il jobs act è un modo di declinare la solidarietà di cui ha parlato il Papa a Campobasso». A margine della conferenza di presentazione del volumetto che raccoglie i momenti salienti di quella visita, monsignor GianCarlo Bregantini, presidente delal Commissione episcopale Giustizia e pace, problemi del lavoro e salvaguardia del creato, spiega che «Il Papa quando parla di patto del lavoro a Campobasso intende sostanzialmente quello di cui si sta discutendo in questi giorni. Ai giovani ha dato tre parole che sono fondative sul piano etico. Ha detto: i giovani devono avere coraggio, voglia di farcela. Devono avere speranza che è la capacità di coltivare il sogno. E, terzo punto, devono trovare solidarietà. Il jobs act è un modo per declinare la terza parola che il Papa ha detto a Campobasso, la solidarietà». Poi è chiaro, aggiunge il vescovo, che «ci vogliono tutele a progressività crescente, con modalità da studiare bene. Ma diamo questa tutela ai precari, diamo coraggio a chi sta in cassa integrazione. Il punto nodale è far entrare i giovani nel mondo del lavoro, non preoccuparsi di farli uscire». E anche se «non dico che bisogna abolire l’articolo 18, penso però che non sia il vero problema.
L’articolo 18 non è secondario, ma successivo al resto. Io l’ho difeso fortemente dieci anni fa. Oggi, però, dico: prima pensiamo alle tutele globali e generali e poi valutiamo bene anche l’articolo 18 in modo tale da poterlo accompagnare al meglio. Ma quello che è importante è l’insieme. Non si può valutare un unico tema. Il jobs act deve essere un atto coraggioso sul piano dell’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro premiando chi li stabilizza ed essendo rigidi con chi non li accompagna, con chi li licenzia prima dei tre anni». Nonostante i problemi monsignor Bregantini è ottimista: «Guardo con molta speranza e fiducia a quanto propone il Governo. E spero che mantenga queste promesse, cercando e trovando le modalità per cui questi ragazzi siano favoriti a entrare e le aziende siano invogliate a prenderli e a tenerli. Vediamo allora quello che si riesce a costruire in Parlamento attorno al tema dell’ingresso nel mondo del lavoro. Il problema, ripeto, non è l’articolo 18, ma l’essere coinvolti dentro il mondo del lavoro».