I giornali di questo periodo sono colmi di
articoli pensosi sulle sorti della Lega
Nord e di Umberto Bossi. Molta
retorica, inoltre, viene spesa sul partito che “aveva
dato voce al Nord”, aveva interpretato “i sentimenti del popolo del Nord” e
così via, esagerazione dopo esagerazione.
Ciò che
bisognerebbe chiedersi, invece, è: perché il famoso Nord, sede della borghesia
più industriosa e della massima concentrazione industriale d’Italia, ha in
parte cospicua deciso di farsi rappresentare dalla classe politica leghista?
Da un partito da sempre privo di qualunque
forma di democrazia interna e dal 2004 inchiodato a un leader dimezzato da una
grave malattia? Da una leva che ha prodotto buoni dirigenti locali ma ha
combinato pasticci ogni volta che si è cimentato con il governo dei problemi
nazionali, dalla famosa legge Bossi-Fini al Pacchetto Sicurezza (ronde
comprese, ricordate?) fino all’amatissimo federalismo, risoltosi in un gran pasticcio
di decreti, regolamenti e rinvii. Da leader e ministri (mica solo il Trota) che
ancora l’altroieri andavano festanti a farsi battezzare da Bossi con l’acqua
del Po?
La Lega
non è finita con la malattia di Umberto Bossi, e nemmeno con la palude in cui,
tra il 2010 e il 2011, è andato a impantanarsi il federalismo. La Lega è finita
nel 2006, quando la “sua” legge sul federalismo è stata cancellata, a stragrande maggioranza, dal referendum. A
dimostrazione che la sua concreta influenza politica non andava oltre il Po e l’asse
privilegiato con Silvio Berlusconi, e che il federalismo leghista in Italia,
dall’Italia, molto semplicemente, non sarebbe mai stato approvato.
Quindi,
che cos’ha trovato la famosa borghesia del Nord nella Lega? Due cose, entrambe molto prosaicamente e
concretamente legate agli interessi economici. La prima: un guardiano “da
destra” alla politica fiscale di Berlusconi. Non è un caso se il guru
dell’Economia è stato per tanti anni Giulio Tremonti, il più leghista dei berlusconiani,
l’uomo che ha regalato alle partite Iva e agli industriali del Nord ben 4 scudi
fiscali. Per meglio dire: condoni fiscali spacciati per “scudi”, visto che la
quota a carico dell’evasore pentito non ha mai superato il 5% (ma è stata anche
del 2,5%), mentre altrove (Rajoy, in Spagna, ha appena varato il suo scudo, ma
con una tassa del 10%), a livelli irrisori rispetto al resto del mondo.
Seconda
cosa: la Lega Nord, con le sue politiche in fatto di immigrazione, ha fornito
all’imprenditoria del Nord la manodopera a basso costo di cui essa aveva bisogno per reggere alla
concorrenza internazionale. Sembra un paradosso e non lo è. Intanto, la legge
Bossi-Fini del 2002 ha prodotto la più gigantesca sanatoria della storia
repubblicana: 750 mila stranieri furono regolarizzati con un tratto di penna.
Poi, con il controllo leghista dei flussi e,
più in generale, con l’atteggiamento xenofobo e discriminatorio (che peraltro non si è mai davvero
accompagnato a una reale riduzione del numero degli immigrati), si è impedita
qualunque riflessione sui diritti degli stranieri, tenuti esattamente nello
stato di cui il Nord produttivo aveva bisogno: parità di doveri, disparità di
diritti.
Basta
osservare il caso del Nord Est, locomotiva del Paese, per capirlo. In quella macroregione, il 9,6% degli
imprenditori è di origine straniera e l’8,3% delle imprese ha proprietà detenuta
in prevalenza da stranieri. La disoccupazione, tra gli stranieri, è al 10,7%,
non molto più alta di quelli generale che si registra in Italia: 9,3%. Nel
2009, i contribuenti di origine straniera hanno dichiarato al fisco 4,6
miliardi di euro in Veneto e 4,2 in Emilia Romagna.
Quindi, nelle regioni dove la Lega
è più forte, gli stranieri arrivano, si insediano, lavorano, pagano le tasse.
Curioso, no?
Andiamo però a vedere l’altra faccia della medaglia, quella dei
diritti. Nel Nord Est il lavoratore straniero guadagna in media poco più di
1.000 euro netti al mese, 255 euro meno del corrispondente lavoratore italiano. Il 42,2% delle famiglie straniere vive sotto
la soglia della povertà (l’analogo dato tra le famiglie italiane è del 12,6%) e
solo il 13,8% di esse è proprietaria della casa in cui vive. Le altre spendono
circa il 25% di quanto guadagnano per pagare l’affitto. Sono i dati di
una recentissima ricerca pubblicata dalla Fondazione Moressa e dall’Oim
(Organizzazione Internazionale per le Migrazioni).
Ecco le
ragioni per cui in questi anni una parte del Nord si è “innamorata” della Lega.
Il resto, dalla Padania a Roma ladrona, è quasi tutto retorica.