Forse il requiem per il posto fisso annunciato da Matteo Renzi alla Leopolda è un po’ troppo sbrigativo. E’ vero che è ormai irreale, nel 2014, pensare all’azienda che garantisce occupazione a vita come negli anni '60 e che la segmentazione del lavoro è un dato di fatto. “Nessuno dei miei otto figli ha un posto fisso”, ha chiosato sulla Stampa il giorno dopo l’entomologo sociale Giuseppe de Rita, presidente e fondatore del Censis, con un’evidenza empirica persino maggiore delle sue analisi sociologiche. Ma è anche vero che i contratti devono avere una prospettiva a tempo indeterminato, altrimenti come è possibile sposarsi, progettare una famiglia, accendere un mutuo (ma anche comprare un’auto a rate), possedere una casa?
Bisognerebbe distinguere tra lavoro flessibile e lavoro precario. Il primo è necessario a fronteggiare una crisi globale del costo del lavoro che non ha eguali nella storia e che ha cambiato gli stili di vita, mettendo in discussione tempi e modi di lavorare, il secondo equivale allo smantellamento delle tutele, con conseguenze sui rapporti familiari, sulla carriera, sulla progettualità individuale, perfino sulla tenuta nervosa e psichica a causa del continuo riadattamento. Anche perché i contratti sempre più brevi e insicuri degli ultimi dieci anni non hanno certo prodotto occupazione, mentre tre milioni di italiani a tempo indeterminato hanno perso il posto dalla sera alla mattina o si trascinano da mesi da una cassa di integrazione all'altra.
Forse sarebbe stato utile, alla Leopolda 5, qualche accenno da parte di Renzi su che tipo di politica industriale vogliamo nei prossimi anni (dalla green economy alla banda larga, tanto per toccare due temi molto “cool” e sicuramente innovativi cari al giovane premier segretario). In realtà Renzi ha voluto affermare politicamente il distacco dalle forze politiche antagoniste presenti a sinistra: la Cgil, scesa in piazza contro il Governo, e la minoranza del Pd, sempre più avviata alla secessione politica.